Persone con un arto superiore amputato potranno imparare a controllare un braccio robotico solo con la mente. Lo dimostra una nuova ricerca condotta da neuroscienziati dell’Università di Chicago e pubblicata su Nature Communications. L’abilità di gestire e controllare il braccio robotico sarà possibile grazie ad elettrodi impiantati nel cervello.
I dettagli della ricerca si concentrano sui cambiamenti che avvengono in entrambi i lati del cervello usati per controllare l’arto amputato e l’arto rimasto intatto. I risultati mostrano che entrambe le aree sono in grado di creare nuove connessioni per imparare come controllare il dispositivo robotico in ogni momento, anche dopo diversi anni da un’amputazione. E’ questa la vera novità: potranno imparare a controllarlo anche coloro che hanno perso l’arto da molti anni.
Nicho Hatsopoulos, professore di biologia e anatomia degli organismi presso l’Università di Chicago e principale autore dello studio considera particolarmente interessante “la plasticità del cervello nonostante l’esposizione a lungo termine” e l’osservazione di ciò che è avvenuto alla connettività della rete quando hanno imparato a controllare il dispositivo.
Test precedenti hanno già dimostrato come pazienti paralizzati possano muovere arti robotici attraverso un’interfaccia cervello-macchina. Il nuovo studio è uno dei primi a testare l’efficacia del braccio robotico anche su persone amputate.
I ricercatori hanno lavorato su tre scimmie Rhesus. Non sono state, di certo, amputate allo scopo di effettuare la sperimentazione. In giovane età, queste scimmie hanno subito lesioni per le quali è stato necessario amputare un braccio altrimenti sarebbero morte.
In due scimmie, i ricercatori hanno impiantato elettrodi intramuscolari nel lato opposto della scatola cranica (o controlaterale) all’arto amputato, ovvero il lato che controllava l’arto amputato. Nel terzo animale, gli elettrodi sono stati impiantati nello stesso lato (o ipsilaterale) all’arto amputato, cioè il lato che controllava ancora l’arto intatto.
Dopo aver impiantato elettrodi nel cervello, le scimmie sono state addestrate per muovere e controllare il braccio robotico (ad esempio, afferrare una palla solo col pensiero).
Controllando l’attività dei neuroni registrate prima, durante e dopo gli esperimenti, gli scienziati hanno assistito al graduale rafforzamento delle connessioni tra i neuroni nell’area controlaterale (che controlla il braccio amputato).
I dati più interessanti sono stati osservati sul lato ipsilaterale (che controlla il braccio intatto della scimmia). Inizialmente, le connessioni risultavano dense poi, nel corso dell’addestramento, queste si riducevano mentre le reti si assottigliavano, prima di ricostruire una nuova, fitta rete.
Che significa tutto questo? Che, man mano che l’animale apprendeva un nuovo compito “le connessioni sono state eliminate perché c’è già una rete che controlla altri comportamenti” ha risposto Karthikeyan Balasubramanian, un ricercatore che ha diretto lo studio. Il fatto sorprendente è che “dopo alcuni giorni, si è ricostituita una nuova rete in grado di controllare sia l’arto intatto sia quello neuroprotesico“.
Il gruppo di ricercatori ha in programma di continuare il proprio lavoro combinandolo con quello di altri gruppi per dotare gli arti neuroprotesici di feedback sensoriali sul tatto e sulla propriocezione. La propriocezione, ricordiamolo, è il senso di ‘dove’ l’arto si trova nello spazio.
L’obiettivo finale è di “creare delle membra neuroprotesiche davvero reattive, in grado di offrire alle persone sensazioni naturali attraverso l’interfaccia macchina/cervello” ha concluso Hatsopoulos.
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