In questi giorni sta facendo molto discutere la controversa decisione di un giudice federale, il quale avrebbe effettivamente stabilito che le aziende che gestiscono i social media non possono in nessun modo essere obbligate a limitare i contenuti mostrati agli adolescenti. La sentenza viene di conseguenza alla legge del Texas chiamata Securing Children Online Through Parental Empowerment Act, soluzione che, dati alla mano, imporrebbe specifici requisiti di verifica dell’età, per mitigare il più possibile l’approccio degli adolescenti appunto ai social media.
Tra le varie cose, la legge chiede alle realtà che gestiscono i social network di impedire che l’utente venga esposto a materiale dannoso, tra cui contenuti che vanno a glorificare l’autolesionismo o l’abuso di sostanze. Un requisito che non ha ricevuto l’approvazione, proprio perché il giudice ha stabilito che nessuno Stato ha il diritto di scegliere quali categorie di contenuti possano vedere gli adolescenti in rete. Oltre a ciò, lo stesso Giudice ha ritenuto che altri requisiti di verifica dell’età non siano opportuni, come anche i corrispettivi divieti alla pubblicità da mostrare ai minori.
Alla base della protesta troviamo NetChoice, un gruppo tech che al contrario degli aspetti positivi, sottolinea quanto una simile decisione imporrebbe ai social network di raccogliere ancora più dati ai minori, ottenendo difatti il risultato inverso di quanto si sarebbe sperato con tale legge. Discorso simile è stato fatto a New York, dove recentemente sono state promulgate due leggi che limitano il modo in cui le società dei social network possono raccogliere i dati degli utenti, ed in particolar modo gli adolescenti.
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