L’avanzare con l’età porta ovviamente a dei problemi, fisici e sociali. Si può andare incontro all’osteoporosi, a difficoltà di movimento, a perdita di condizione sociali, depressione, noia ecc. Ma, senza dubbio, la patologia che reca più problemi è il morbo di Alzheimer, molto comune nelle persone con più di 60 anni, caratterizzato principalmente da perdita di memoria, sia di lunga sia di breve durata.
Le ricerche scientifiche e mediche su questa malattia sono costanti e specifiche, per cercare di ritardarla il più possibile ed eventualmente di minimizzare i danni. Recentemente, infatti, una ricerca italiana ha mostrato una possibile relazione tra l’Alzheimer e il virus dell’herpes.
Il virus dell’herpes simplex è una malattia contagiosa ma non pericolosa molto comune, che si manifesta con vescicole sulle labbra principalmente, ma anche in altre parti del corpo. Esse possono presentarsi più volte nel corso della vita.
Uno studio italiano, coordinato da Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, ha rivelato che il virus dell’herpes può potenzialmente aumentare il rischio del morbo di Alzheimer. Lo studio ha dimostrato, su un animale, che riattivazioni ripetute del virus inducono la comparsa e l’accumulo nel cervello di biomarcatori di neurodegenerazione tipici della malattia di Alzheimer, quali il peptide beta-amiloide (principale componente delle placche senili), la proteina tau-iperfosforilata.
La studiosa così ha spiegato lo studio:
“Le recidive delle ben note vescicole sono dovute al fatto che il virus si annida, in forma latente, in alcune cellule nervose situate fuori dal cervello. In seguito a diverse condizioni di stress (quali ad esempio infezioni concomitanti, calo delle difese immunitarie, esposizione a radiazioni ultraviolette, ecc.) il virus si riattiva, va incontro a replicazione e successiva diffusione alla regione periorale. In alcuni soggetti – aggiunge Palamara – il virus riattivato può raggiungere anche il cervello producendo in quella sede danni che tendono ad accumularsi nel tempo”.
Resta ovviamente da confermare se ciò vale solo per gli animali o anche per l’essere umano; sicuramente serviranno altri test specifici.
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