L’Amazzonia, la foresta pluviale amazzonica, è da diversi decine di anni che è costantemente minacciata, ma nonostante questo, ha sempre resistito. Potrebbe non continuare ancora per molto. Secondo dei nuovi studi, si sta avvicinando verso una soglia di non ritorno. Una volta superata tale soglia, ci si può aspettare la nascita di una zona arida, una savana ben lontana dall’attuale ricchezza di tale dell’ecosistema.
Secondo gli scienziati, tale soglia è stata stimata intorno alla perdita del 35% della superficie originale. L’impatto sarebbe così grave che il restante 65% potrebbe non resistere. Attualmente è stato perso il 20%, una situazione che si è creata a partire dal 1970. Si tratta i cinque milioni di chilometri quadrati di foresta.
Il territorio perso è andato per la produzione di legname, soia, olio di palma, carne bovina e anche biocarburanti. Se da un lato si può comunque giustificare il desiderio del Brasile, uno dei principali fautori di questo attacco alla foresta, di diventare economicamente più forte, il fatto che non si stiano fermano è preoccupante.
Le parole di Alexandre Antonelli, direttore scientifico del Royal Botanical Gardens di Kew: “Le implicazioni dello studio per l’Amazzonia sono terrificanti. A meno che non vengano prese misure urgenti ora, potremmo essere sull’orlo della perdita della foresta pluviale più grande e più ricca di biodiversità del mondo, che si è evoluta per almeno 58 milioni di anni e sostiene la vita di decine di milioni di persone”.
Ovviamente non è solo un detto a livello di biodiversità, ma più di tutto è un problema ambientale. La foresta dell’Amazzonia è uno dei più grandi serbatoio di contenimento dell’anidride carbonica. Se iniziasse a sparire, sarebbe un grosso problema.
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