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Anguille iperattive nel Tamigi: colpa dell’inquinamento da cocaina

L’inquinamento dei fiumi da parte dell’uomo ha raggiunto livelli davvero inaspettato. A farne le spese questa volta sono le anguille del Tamigi. Sembra infatti che i pesci del fiume che attraversa Londra, siano in stato di iperattività e confuse dalle elevate quantità di cocaina presenti nelle acque fluviali nella città.

La cocaina finisce nel fiume attraverso le urine dei suoi consumatori, che confluiscono nelle acque nei liquami trattati, e attraverso le acque reflue durante i forti temporali.

A causa di questo particolare e scioccante, tipo di inquinamento, si teme che le anguille possano correre un enorme rischio. Ovvero essere troppo confuse per ritrovare la strada per l’Atlantico e compiere la migrazione di quasi 6000 km, necessaria per la riproduzione.

 

I rilevamenti del King’s College evidenziano un consumo giornaliero

Il gruppo di ricerca del King’s College ha monitorato i livelli di cocaina nel fiume, trovandovi valori molto alti. Si tratta infatti di 1 µg per litro nelle acque reflue non trattate. E questo non solo nel fine settimana. Differentemente da quanto accade in altre città, sembra che a Londra si tratti di un consumo giornaliero.

Per questo motivo si sta pensando nella capitale inglese, di migliorare i sistemi di trattamento delle acque, in modo da riuscire ad evitare o comunque mitigare questa nuova e preoccupante tipologia di inquinamento.

 

Lo studio italiano sull’inquinamento da cocaina

A dimostrare quanto possano essere gravi le conseguenze dell’inquinamento da cocaina dei fiumi, è uno studio dell’Università Federico II di Napoli.

Il gruppo di ricercatori, coordinato da Anna Capaldo, ha eseguito dei test sulle anguille europee, immergendole in vasche con una concentrazione di cocaina simile a quella trovata nei tratti cittadini del Tamigi. Analizzando i tessuti delle anguille dopo solo qualche giorno, i ricercatori hanno scoperto che la droga si era accumulata in molti tessuti tra cui muscoli, pelle e cervello. A risultare maggiormente danneggiati sono stati i muscoli che hanno riportato anche un cambiamento degli ormoni presenti in questo tipo di tessuto. Le anguille sono rimaste in tali condizioni anche dopo 10 giorni di trattamento disintossicante in acqua pulita.

Questo rappresenta di certo un grosso problema per le anguille, che in questo modo rischiano anche l’estinzione. Come ha infatti spiegato Anna Capaldo: “sono considerate in pericolo di estinzione e perché sono pesci molti grassi, condizione che favorisce l’accumulo delle sostanze. Si tratta di animali che affrontano migrazioni anche di 6000 km, un viaggio che richiede riserve di energia e muscoli in perfetta salute per essere completato”.

Il prossimo passo dei ricercatori guidati dalla Capaldo, sarà quello di individuare le conseguenze dell’inquinamento da cocaina anche sui altri pesci ed organismi fluviali. Inoltre bisognerà indagare sull’interazione tra la cocaina e gli altri agenti inquinanti, come metalli e composti chimici, presenti nelle acqua interne.

 

Ci potrebbero essere rischi anche per l’essere umano

Ci sarà anche da valutare se questo possa avere un certo impatto sull’uomo, dato che l’anguilla è comunemente consumata. “Abbiamo visto che c’è una certa bioaccumulazione nel muscolo, che è la parte che mangiamo. Non sappiamo però cosa succede quando l’animale muore, e l’effetto che ha la cottura. Anche qui servono altre ricerche”, così ha affermato Anna Capaldo.

Lo studio dei ricercatori della Federico II di Napoli è stato pubblicato da Science of the Total Environment.

Valeria Magliani

Instancabile giramondo, appassionata di viaggi, di scoperte e di scienza, ho iniziato l'attività di web-writer perché desideravo essere parte di quel meccanismo che diffonde curiosità e conoscenza. Dobbiamo conoscere, sapere, scoprire e viaggiare, il più possibile. Avremo così una vita migliore, in un mondo migliore.

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