Un recente studio statunitense ha rilevato che una attività fisica regolare può migliorare notevolmente le funzioni cognitive e la memoria. Secondo il dott. Aron Buchman, professore di scienze neurologiche presso il Rush University Medical Centre di Chicago, lo studio presenta “risultati molto potenti. Piuttosto che parlare di tutte le cose che non vanno più tanto bene nelle persone anziane, si sta creando una letteratura riguardante lo sviluppo di fattori di resilienza che possono davvero fare la differenza.”
Nel corso della ricerca, gli studiosi hanno esaminato il comportamento di 454 persone anziane, nel corso di ben 20 anni. In questo periodo i ricercatori hanno condotto test annuali cognitivi, di memoria e fisici. Dall’analisi dei dati è emerso che tutti coloro che praticavano regolarmente attività fisica, fosse anche solo passeggiare ed eseguire le faccende domestiche, avevano migliorato la loro memoria e le funzioni cognitive.
Durante l’esperimento i pazienti sono stati dotati di un fitness tracker da polso, nelle fasi finali della loro vita. Il dispositivo ha rilevato e monitorato costantemente, 24 h su 24, il livello di attività fisica, comprese le piccole attività domestiche. Alla morte dei pazienti, più o meno ad un età media di 91 anni, gli scienziati hanno studiato, mediante autopsia, il tessuto cerebrale dei partecipanti. Questo gli ha permesso di individuare quei cambiamenti nel cervello associati con la demenza e con il morbo di Alzheimer. Dalle analisi autoptiche i ricercatori hanno concluso che il movimento aveva un “effetto positivo sul cervello”. I ricercatori hanno infatti scoperto che i partecipanti con un livello di attività fisica più alto, presentavano anche migliori capacità di pensiero e di memoria.
In totale soltanto 191, dei 454 partecipanti, hanno sviluppato demenza. Inoltre dallo studio è emerso che i pazienti che già soffrivano di demenza, hanno migliorato le loro condizioni cerebrali, aumentando l’attività fisica. In base alle ricerche sembrerebbe quindi che un aumento dell’attività fisica possa ridurre del 31% le probabilità di demenza.
Buchman ha esortato comunque a prendere con cautela i risultati riguardanti lo studio, in quanto non hanno ancora dimostrato delle relazioni di causa-effetto.
Inoltre nello studio non sono state considerate le attività dei partecipanti nel corso della loro intera vita. Non è stato quindi possibile distinguere tra chi aveva trascorso una vita da sportivo, sedentaria o leggermente attiva.
Ad esempio è possibile che le persone sedentarie potessero presentare già da prima “una demenza subclinica e che questa potrebbe essere il motivo per cui non sono tanto attivi quanto i soggetti con cognizione normali”.
Lo studio del dott. Buchman et al è stato pubblicato nel numero online di Neurology del 16 gennaio 2019 .
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