Secondo un nuovo studio internazionale condotto però in Giappone, un’esposizione anche a breve termine a basse concentrazioni di particolato fine PM2.5 è abbastanza per causare un aumento di rischio di arresto cardiaco. Questo particolato è prodotto sia dalle auto, dal motore di quest’ultime, ma anche dai sistemi di riscaldamento domestico. Per questo motivo lo studio si è concentrato in alcune delle aree più dense del pianeta in correlazione però con la qualità dell’aria.
Lo studio è stato uno dei più completi mai effettuati. Il risultato sono prove complete e concrete tra i due aspetti. Il campione statistico che è stato utilizzato è tre volte quello delle altre ricerche. Come sempre, l’impatto più grande si è registrato negli anziani. Lo studio in sé evidenzia come la concentrazione minima per garantire un aumento del rischio di arresto cardiaco è inferiore rispetto ai limiti dichiarati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le parole degli autori dello studio: “L’arresto cardiaco extraospedaliero rappresenta una grave emergenza medica, con meno di una persona su 10 in tutto il mondo sopravvissuta a questi eventi, e ci sono state prove crescenti di un’associazione con l’inquinamento atmosferico più acuto o di polveri sottili come PM2.5.”
“Abbiamo analizzato quasi un quarto di milione di casi di arresti cardiaci extraospedalieri e trovato un chiaro legame con i livelli di inquinamento atmosferico acuto. Il nostro studio supporta recenti prove del fatto che non esiste un livello sicuro di inquinamento atmosferico, trovando un rischio maggiore di arresto cardiaco nonostante la qualità dell’aria generalmente conforme agli standard. Dato che c’è una tendenza al peggioramento dell’inquinamento atmosferico, da un numero crescente di automobili e da catastrofi come gli incendi boschivi, gli impatti sugli eventi cardiovascolari, oltre alle malattie respiratorie e al cancro ai polmoni, devono essere presi in considerazione nelle risposte sanitarie”.
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