I processi per estrarre i Bitcoin, ovvero i calcoli processati dalle macchine usare a tale scopo, sono un problema per l’ambiente. Con la più sempre fama raggiunta dalla suddetta criptovaluta, durante la pandemia il mining è di fatto diventato un problema ambientale. L’uso di energia elettrica a tale scopo aveva raggiuto livelli inquietanti e l’inquinamento era alle stelle.
Se adesso questa pratica si è un attimo ridimensionata a causa di diverse motivazione, soprattutto la perdita di valore dei Bitcoin e l’aumento del costo dell’energia elettrica in quasi tutto il mondo, comunque c’è sempre un rischio. Secondo nuovi studi di fatto l’inquinamento di questa pratica produce più danni climatici degli allevamenti dei bovini, ma non solo, si parla anche di danni paragonabili quasi all’estrazione del petrolio.
In cinque anni l’inquinamento causato dai Bitcoin è passato da meno di una tonnellata di anidride carbonica prodotta per token, a oltre 113 tonnellate. Si può anche quantificare i danni in soldi. Per ogni dollaro di valore minato, c’è stato un danno all’ambiente di 35 centesimi; il petrolio è a 41 centesimi e gli allevamenti sono a 33 centesimi mentre l’estrazione dell’oro si attesta a 4 centesimi.
Le criptovalute si sono evolute molto negli anni e quella che potremmo definire l’eterna rivale di Bitcoin, gli Ethereum, hanno scelto di prendere una direzione ben precisa anche per evitare danni all’ambiente. Il metodo di acquisizione dei token è infatti passato dal mining, a un altro tipo che non richiede neanche lontanamente l’energia richiesta in precedenza. Per i Bitcoin sarà impossibile però vedere un cambiamento del genere.
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