Il Bitcoin ha aumentato il suo consumo di energia del 41,91% nell’ultimo anno e, di conseguenza, richiede più elettricità nella maggior parte dei Paesi del mondo, alcuni dei quali hanno una popolazione superiore a 100 milioni di persone. In tal modo, la Bitcoin revolution si fregia anche di un altro traguardo, sebbene questo non sia precisamente onorevole.
Questo aumento nel 2020 è stato guidato da un picco significativo (23,36%) nelle ultime settimane. Dal 17 dicembre, il consumo di energia del Bitcoin è passato da 86,67 TWh agli attuali 106,92 TWh (in terawattora, o 1.000 unità di wattora, una metrica basata sulla quantità di energia necessaria per alimentare un carico con potenza di un watt in un’ora).
I dati provengono dal Center for Alternative Finance presso l’Università di Cambridge, in Inghilterra. L’istituto ha creato una piattaforma che misura in tempo reale il consumo energetico stimato dell’ecosistema bitcoin – il suo mining, i record e le convalide delle sue transazioni sulla blockchain e l’elaborazione dei prodotti finanziari ad essa collegati, come stable coin e DeFis.
Ciò ha replicato l’impennata del prezzo della più popolare tra le criptovalute, che è salita del 38% dal 17 dicembre (da 23.100 dollari a 31.900 dollari) e del 331% nell’ultimo anno. Con il recente aumento dei consumi, l’energia utilizzata dalla criptovaluta ha iniziato a superare la domanda di Paesi con grandi popolazioni, come le Filippine (99,2 TWh, 109,5 milioni di persone), secondo le stime delle Nazioni Unite.
E, seguendo il ritmo della recente crescita, il consumo di energia del Bitcoin dovrebbe presto superare la soglia in nazioni come Olanda (114,5 TWh, 17,1 milioni di persone), Argentina (146,5 TWh, 45,1 milioni di persone) e Pakistan (149,2 TWh, 220,8 milioni di persone).
I numeri sollevano un avvertimento: sebbene la tecnologia crittografica Bitcoin sia dirompente (cioè promuove trasformazioni radicali nella condizione preesistente) e digitale al 100%, mantenere questo ecosistema consuma molta energia e fa pagare un prezzo costoso all’ambiente.
Quasi due terzi dell’elettricità generata nel mondo proviene da combustibili fossili, come petrolio, carbone, gas naturale e biocarburanti, su richiesta principalmente dal settore industriale e dalle famiglie.
E sebbene le fonti di energia rinnovabile, come l’eolico e il solare, abbiano registrato una crescita recente, soprattutto nei Paesi sviluppati, questo indice di “energia sporca” è ancora del 57% nei Paesi membri dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e del 71,7% nei Paesi che non sono membri dell’entità che raccoglie le maggiori economie del mondo.
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