Secondo una recente ricerca, condotta da Priyamvada Natarajan, astrofisico della Yale University, Nico Cappelluti dell’Università di Miami e Günther Hasinger dell’Agenzia spaziale europea, potremmo essere molto vicini a dimostrare la teoria di Hawking sui buchi neri primordiali e la materia oscura.
Negli anni Settanta infatti Hawking ipotizzò che la materia oscura potesse essere costituita dai buchi neri primordiali, ovvero quei buchi neri formatesi subito dopo il Big Bang, nei primi momenti di vita dell’Universo.
Il nuovo studio propone dunque una teoria che spiegherebbe sia l’esistenza della materia oscura, che l’evoluzione di alcuni dei più grandi buchi neri individuati nell’Universo. Come ha infatti affermato Natarajan, ciò che è straordinario in questa teoria “è come unifica elegantemente i due problemi davvero impegnativi su cui lavoro: quello di sondare la natura della materia oscura e la formazione e la crescita dei buchi neri; e li risolve in un colpo solo.”
Ciò che sappiamo sulla materia oscura è che costituisce oltre l’80% di tutta la materia dell’Universo, ma non interagisce con la luce in alcun modo. Essa si limita ad influenzare con la sua massa la gravità all’interno delle galassie.
Pensare dunque che essa possa essere costituita di buchi neri non è infatti una cosa banale. Dopotutto, i buchi neri sono sicuramente oscuri, e riempire una galassia di buchi neri potrebbe teoricamente spiegare tutte le osservazioni sulla materia oscura.
Il motivo per cui fino ad ora non è stato ritenuto possibile che la materia oscura sia costituita da buchi neri, è il fatto che i buchi neri si formano solo dopo la morte di stelle massicce. Quindi creare buchi neri richiede molte stelle, il che richiede moltissima materia normale. E semplicemente non c’è abbastanza materia normale per creare tutta la materia oscura che gli astronomi hanno osservato.
Ma la teoria di Hawking del 1971 potrebbe risolvere questo problema. Il famoso fisico inglese suggerì infatti che i buchi neri si fossero formati nell’ambiente caotico dei primi momenti del Big Bang. In quel momento sacche di materia potrebbero aver raggiunto spontaneamente le densità necessarie per dare vita ai buchi neri, riempiendone il cosmo ben prima che le prime stelle nascessero.
Sono questi buchi neri “primordiali” che nella teoria di Hawking potrebbero essere la materia oscura. Ma nonostante questa teoria fosse decisamente interessante, nel corso dei decenni la maggior parte degli astrofisici si è concentrata invece sulla ricerca di una nuova particella subatomica che potesse spiegare la materia oscura.
Un altro freno a questa teoria sono le osservazioni della radiazione residua del Big Bang, quella che conosciamo come fondo cosmico a microonde (CMB). Affinchè la teoria fosse valida infatti, i buchi neri primordiali dovevano essere di dimensioni molto limitate, altrimenti sarebbero in conflitto con le misurazioni del CMB.
Ma la teoria di Hawking ritornò a far parlare di sé nel 2015, quando il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory osservò per la prima volta una coppia di buchi neri in collisione. I due buchi neri erano molto più grandi del previsto.
Per le loro dimensioni infatti, i due corpi oscuri non potevano essersi formati dalla morte di una stella, in quanto non avrebbero avuto il tempo necessario, considerando quando potrebbero essere morte le prime stelle, per accrescersi e raggiungere tali dimensioni. Ciò sarebbe stato possibile invece se i buchi neri si fossero formati nell’universo primordiale, quando ancora non esistevano le stelle.
Per questo nella loro ricerca Natarajan, Cappelluti e Hasinger hanno approfondito lo studio dei buchi neri primordiali, cercando di capire come questi potrebbero spiegare la materia oscura e risolvere altri problemi di astrofisica correlati.
Dato che per collimare con le osservazioni del CMB i buchi neri primordiali dovevano essere molto piccoli, i tre ricercatori hanno creato dei modelli in cui essi avevano le dimensioni di circa 1,4 volte il Sole.
In questo nuovo modello dell’Universo questi piccoli corpi oscuri hanno sostituito tutta la materia oscura. Dopo di che hanno cercato degli indizi che potessero convalidare o escludere questo modello.
Osservato i dati del modello, i ricercatori hanno scoperto che i buchi neri primordiali potrebbero aver svolto un ruolo importante nell’universo seminando le prime stelle, le prime galassie e i primi buchi neri supermassicci (SMBH). Le osservazioni indicano infatti che stelle, galassie e SMBH sono apparsi molto rapidamente nella storia cosmologica, forse troppo rapidamente per essere spiegati dai processi di formazione e crescita che conosciamo.
Come spiega dunque Natarajan, “i buchi neri primordiali, se esistono, potrebbero essere i semi da cui si formano tutti i buchi neri supermassicci”. E come aggiunge Cappelluti, questo studio “mostra che senza introdurre nuove particelle o nuova fisica, possiamo risolvere i misteri della moderna cosmologia dalla natura della materia oscura stessa all’origine dei buchi neri supermassicci”.
Il momento in cui le osservazioni del cosmo potrebbero confutare questo nuovo modello, potrebbe non essere così lontano. Infatti con il lancio del telescopio spaziale James Webb, avremo finalmente nuovi indizi sull’origine delle galassie e delle prime stelle. Il James Webb sarà infatti in grado di osservare molto indietro nel tempo, sin quasi all’origine dell’Universo.
Ad esso si uniranno anche la prossima generazione di rivelatori di onde gravitazionali, in particolare la Laser Interferometer Space Antenna (LISA), che sarà in grado di svelarci molto sui buchi neri, compresi la possibile esistenza di quelli primordiali.
Ph. Credit:
Immagine di sfondo: Foto di Garik Barseghyan da Pixabay
Immagine di Hawking: NASA – Original. Source (StarChild Learning Center). Archived directory listing. Via Wikipedia.
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