Per chi è nato in dato periodo, la preoccupazione maggiore rispetto ai danni che l’uomo stava facendo all’ambiente era riservata al buco dell’ozono. Dipinto come un male profondo, parzialmente vero, sembrava che ci avrebbe condotto all’estinzione. Le registrazioni di tale fenomeno sono iniziate del 1982 e da allora agenzie e nazioni si sono mosse per cercare di arginare il problema. Ci sono riusciti considerando che il buco nello strato dell’atmosfera non è mai stato così da piccolo, così piccolo da quando ci siamo interessati ovviamente.
Il buco dell’ozono non è fisso. Durante tutto l’anno presenta delle variazioni e i valori di quest’anno hanno sottolineato un netto miglioramento. Normalmente l’ampiezza supera gli 8 milioni di miglia quadrate, ma a questo giro il massimo è stato di 6,3 milioni; dopo aver raggiunto tale picco, il foro è sceso a 3,9 milioni di miglia quadrate. In realtà, in passato ci sono state due annate in cui sono state registrati dati molto piccoli quindi gli scienziati stanno andando cauti.
Questo restringimento è dovuto anche a un riscaldamento eccessivo dell’aria nel circolo polare antartico. Le temperature più alte hanno mitigato quello che si chiama vortice polare antartico riducendone la velocità dei venti che ne fanno parte. Senza questa forza, l’aria è riuscita ad affondare nella bassa stratosfera dove si è riscaldata e ha evitato la formazione di grossi banchi di nuvole. Quest’ultime, se presenti, favoriscono le reazioni chimiche che liberano l’ozono. Sono processi complessi e se foste interessati ecco il link all’articolo originale del The Washington Post.
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