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Chemioterapia e cervello: come i trattamenti oncologici alterano la connettività cerebrale

Negli ultimi anni, la medicina ha compiuto passi da gigante nella lotta contro il cancro, ma il rovescio della medaglia di alcuni trattamenti continua a preoccupare pazienti e specialisti. Tra questi, la chemioterapia – uno degli strumenti principali per combattere le cellule tumorali – si rivela spesso un’arma a doppio taglio. Sempre più evidenze scientifiche dimostrano infatti che i farmaci chemioterapici possono avere un impatto significativo anche sul cervello, andando a modificare la sua connettività funzionale.

Il fenomeno, comunemente noto come “chemo brain”, si manifesta con sintomi cognitivi come difficoltà di concentrazione, perdita di memoria, confusione mentale e rallentamento nel pensiero. Per molti pazienti oncologici, questi effetti collaterali persistono anche dopo la fine del trattamento, influenzando la qualità della vita e la ripresa delle attività quotidiane.

Il lato oscuro della chemioterapia: come altera la mente

A livello neurologico, la chemioterapia sembra alterare il modo in cui diverse aree del cervello comunicano tra loro. Studi basati su risonanze magnetiche funzionali (fMRI) hanno evidenziato una ridotta connettività tra le regioni cerebrali responsabili dell’attenzione, della memoria a breve termine e del controllo esecutivo. In altre parole, le reti neurali diventano meno sincronizzate ed efficienti.

Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications ha analizzato il cervello di pazienti affetti da tumore al seno sottoposti a chemioterapia, confrontandolo con quello di soggetti sani. I risultati hanno mostrato una diminuzione dell’attività nelle aree prefrontali e parietali, associate al pensiero complesso e alla pianificazione, suggerendo una correlazione diretta tra i farmaci e l’interruzione dei normali flussi neurali.

Le cause esatte di queste alterazioni non sono ancora del tutto chiare. Alcuni ricercatori ipotizzano che l’infiammazione indotta dalla chemioterapia, insieme allo stress ossidativo e a una possibile neurotossicità dei farmaci, possa danneggiare la microstruttura cerebrale. Anche il sistema immunitario, alterato dal trattamento, potrebbe giocare un ruolo cruciale nella modulazione delle funzioni cognitive.

Salvaguardare le capacità mentali e l’autonomia dei pazienti

Nonostante queste preoccupazioni, è importante sottolineare che non tutti i pazienti sperimentano lo stesso livello di impatto neurologico. Fattori individuali come età, stato di salute generale, supporto psicologico e risorse cognitive preesistenti possono influenzare la resilienza del cervello alla chemioterapia. Inoltre, alcuni studi suggeriscono che l’attività fisica e la stimolazione mentale possano aiutare a mitigare questi effetti.

La ricerca si sta ora concentrando su strategie per proteggere il cervello durante la chemioterapia. Farmaci neuroprotettivi, programmi di riabilitazione cognitiva e tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva sono tra le opzioni in fase di sperimentazione. L’obiettivo è duplice: non solo curare il cancro, ma anche salvaguardare le capacità mentali e l’autonomia dei pazienti.

In conclusione, sebbene la chemioterapia resti uno strumento vitale nella battaglia contro il cancro, è fondamentale considerare anche il suo impatto a lungo termine sulla salute del cervello. Maggiore consapevolezza, prevenzione e supporto terapeutico possono fare la differenza nel percorso di cura, restituendo dignità e qualità della vita a chi combatte una sfida tanto complessa.

Foto di cristhianelouback0 da Pixabay

Marco Inchingoli

Nato a Roma nel 1989, Marco Inchingoli ha sempre nutrito una forte passione per la scrittura. Da racconti fantasiosi su quaderni stropicciati ad articoli su riviste cartacee spinge Marco a perseguire un percorso da giornalista. Dai videogiochi - sua grande passione - al cinema, gli argomenti sono molteplici, fino all'arrivo su FocusTech dove ora scrive un po' di tutto.

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