La comunità scientifica sta studiando ininterrottamente la struttura genetica del nuovo coronavirus ormai da diversi mesi, ma in questi giorni potrebbero essersi compiuti importanti passi avanti verso una conoscenza più approfondita di questo misterioso e sfuggente nemico. In primo luogo, risulta che il coronavirus non si presenta allo stesso modo in tutte le zone colpite: infatti, il virus presente in Cina e quello “europeo-americano” presentano alcune differenze, come risulta dall’analisi dei rispettivi genomi.
Uno studio dell’Rna dei due ceppi ha dimostrato che la variante europea risulta essere “mutata” rispetto a quella cinese e, soprattutto, più contagiosa. La mutazione è stata notata da un team di ricerca dell’Università del Maryland, guidato dal dottor Robert Gallo, pioniere della lotta all’AIDS, e dal dottor Davide Zella, che hanno individuato anche l’enzima responsabile di questa mutazione, chiamato “polimerasi Rna dipendente“, di fondamentale importanza nel processo di replicazione del coronavirus.
La mutazione di questo enzima è stata peraltro discussa anche in un articolo sulla rivista Journal of Translational Medicine, in cui si legge: “La prima comparsa di questa mutazione si fa risalire al 9 febbraio nel Regno Unito, dopo un repentino aumento di casi registrato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità“. Il problema principale relativo a questa “nuova versione” riguarda in particolare la capacità di “auto-correggere” eventuali errori nella trascrizione e replicazione del virus: infatti, ogni volta che esso si replica può generare copie imperfette; ma la mutazione studiata sembra essere in grado di ridurre il numero di errori.
“Il tasso di mutazione dei virus a Rna è estremamente alto“, scrivono gli scienziati, “e questo serve al virus per adattarsi di volta in volta all’ospite, con effetti riguardo la sua virulenza e contagiosità. Essendosi diffuso così tanto e così velocemente, il nuovo coronavirus ha potuto produrre un numero di copie enorme, aumentando quindi anche la possibilità di replicare copie parzialmente differenti e quindi mutate. Questo può causare un mancato riconoscimento del virus da parte del sistema immunitario, nonchè una sua maggiore resistenza all’uso di farmaci“.
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