Nei primi mesi dell’emergenza coronavirus, quasi tutti i paesi si sono ritrovati inermi, impreparati a quello che stava accadendo e che sarebbe accaduto. Una delle mancanze dei paesi più ricchi è stata la piccola scorta di mascherine a disposizione. A causa di tale scenario, ci si è ingegnati a produrle in casa, dove si poteva, e a ordinarle dall’estero, da quei paesi che sembravano passarsela meglio, come la Cina.
Fin dai primi mesi erano comparse notizie su come alcuni dei prodotti comprati dalle compagnie cinesi non rispecchiassero gli standard di sicurezza. Un altro rapporto pubblicato a questo giro di recente, il 22 settembre, ha sottolineato tutto questo, ma rendo palese anche le proporzioni di questo problema.
Secondo i ricercatori dell’ECRI, si tratta di un’organizzazione no profit, tra il 60 e il 70% delle mascherine N95 e KN95 spedite dalla Cina non sono confermi agli standard di sicurezza minimi americani. Tradotto? Filtrano meno del 95% delle particelle.
Le parole di Dr. Marcus Schabacker, presidente e CEO dell’ECRI: “Stiamo scoprendo che molti non sono sicuri ed efficaci contro la diffusione di Covid-19. L’uso di maschere che non soddisfano gli standard statunitensi mette i pazienti e gli operatori sanitari in prima linea a rischio di infezione”.
Le parole del vicepresidente dell’organizzazione: “Le maschere KN95 che non soddisfano gli standard normativi statunitensi generalmente forniscono ancora una maggiore protezione respiratoria rispetto alle maschere chirurgiche o in tessuto e possono essere utilizzate in determinati contesti clinici. Gli ospedali e il personale che cura i pazienti sospetti di COVID-19 devono essere consapevoli che le maschere importate potrebbero non soddisfare gli attuali standard normativi statunitensi nonostante il marketing che dica il contrario”.
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