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Coronavirus, il virus può danneggiare seriamente il cervello

Com’è ormai noto, il coronavirus colpisce soprattutto i polmoni, oltre che i reni, il fegato e i vasi sanguigni. Tuttavia, circa la metà dei pazienti riferisce sintomi neurologici, tra cui mal di testa e confusione, suggerendo che il virus possa in qualche maniera interessare anche il cervello. Un nuovo studio offre in proposito una chiara evidenza che, in alcune persone, il coronavirus interessi le cellule cerebrali, “dirottandole” perchè lo replichino. Il virus sembra anche aspirare tutto l’ossigeno nelle vicinanze, facendo morire di fame le cellule vicine. Non è ancora chiaro come il virus arrivi al cervello, ma è probabile che l’infezione del cervello sia comunque rara, coinvolgendo persone magari suscettibili in tal senso a causa, ad esempio, di una storia clinica travagliata o di una maggiore carica virale.

Se il cervello si infetta, le conseguenze potrebbero essere letali“, ha detto Akiko Iwasaki, immunologo dell’Università di Yale, che ha guidato lo studio. Gli scienziati hanno dovuto fare affidamento sull’imaging cerebrale e sui sintomi dei pazienti per dedurre gli effetti sul cervello: “Non avevamo effettivamente molte prove che il virus riuscisse ad infettare il cervello, anche se sapevamo che questa fosse una possibilità“, ha dichiarato il dottor Michael Zandi, neurologo presso il National Hospital for Neurology and Neurosurgery, nel Regno Unito. “I nuovi dati di cui disponiamo ci forniscono sicuramente indizi importanti in tal senso“.

 

Il danni al cervello collegati al coronavirus sono conseguenze rare, ma riscontrate in molti pazienti appartenenti a “categorie a rischio”

Zandi e i suoi colleghi avevano infatti pubblicato una ricerca simile a luglio, che mostrava che alcuni pazienti affetti da Covid-19 sviluppano gravi complicazioni neurologiche, compresi danni ai nervi. Nel nuovo studio, Iwasaki e i suoi colleghi hanno documentato l’infezione cerebrale in tre modi: nel tessuto cerebrale di una persona morta di Covid-19, in un modello murino e negli organoidi, ossia “grappoli” di cellule cerebrali in un piatto da laboratorio pensato per imitare il struttura tridimensionale del cervello. È noto che altri agenti patogeni, come ad esempio il virus Zika, infettano le cellule cerebrali; in questi casi, le cellule immunitarie “inondano” i siti danneggiati nel tentativo di liberare il cervello dalle cellule infette.

Il coronavirus è invece molto più subdolo: esso sfrutta il meccanismo delle cellule cerebrali per moltiplicarsi, ma non le distrugge. Prosciuga lentamente l’ossigeno dalle cellule, facendole appassire e morire. I ricercatori non hanno finora trovato alcuna prova di una risposta immunitaria per porre rimedio a questo problema. “È un’infezione silenziosa“, ha detto Iwasaki. “Questo virus possiede molti meccanismi di evasione“. Questi risultati sono coerenti con altre osservazioni su organoidi infetti dal coronavirus, ha affermato Alysson Muotri, neuroscienziato dell’Università della California, che ha anche studiato il virus Zika.

 

Il virus colpisce principalmente le sinapsi e non è chiaro se sia possibile riparare questo tipo di danno

Il coronavirus sembra essere in grado di diminuire rapidamente il numero di sinapsi, cioè le connessioni tra i neuroni. “Già pochi giorni dopo l’infezione possiamo osservare una drastica riduzione della quantità di sinapsi“, ha detto Muotri. “Ma non sappiamo ancora se questo processo sia reversibile o meno”. Il virus infetta le cellule tramite una proteina sulla sua superficie, chiamata ACE2, che è presente in tutto l’organismo umano e soprattutto nei polmoni, ciò spiegando perchè questi organi sono i bersagli ideali per il virus.

Iwasaki e i suoi colleghi hanno, sulla base di ciò, scoperto che il virus potrebbe effettivamente entrare nelle cellule cerebrali utilizzando proprio l’ingresso costituito dalla proteina ACE2. Il virus può arrivare al cervello attraverso il bulbo olfattivo, ghiandola che regola l’olfatto, attraverso gli occhi e persino attraverso il flusso sanguigno. “Penso che questo sia un caso in cui i dati scientifici sono in anticipo rispetto alle prove cliniche“, ha detto Muotri. I ricercatori dovranno perciò analizzare ancora molti campioni per stimare quanto sia comune l’infezione cerebrale e se sia riscontrabile in persone con malattie più lievi.

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