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Coronavirus: i farmaci per la pressione sanguigna sono davvero dannosi?

Gli scienziati sono sconcertati dall’aggressività con cui il nuovo coronavirus attacca il corpo umano. Inoltre, a destare la preoccupazione della comunità scientifica è anche il fatto che il patogeno possa tanto condurre alla morte del paziente, quanto insidiarsi nell’organismo e restare “dormiente“, senza sviluppare alcun sintomo. In merito, potrebbe essere sorto un interessante indizio: un numero consistente di pazienti Covid-19 ricoverati presenta livelli di pressione sanguigna molto alti. Le teorie sul perché tale condizione li renda più vulnerabili hanno perciò ispirato un acceso dibattito tra gli scienziati sull’impatto dei farmaci per la pressione sanguigna.

I ricercatori concordano sul fatto che i cosiddetti “farmaci salvavita” influenzino gli stessi percorsi che il nuovo coronavirus segue per entrare nei polmoni e nel cuore. La soluzione di questa annosa questione ha assunto maggior rilevanza dopo una relazione dell’8 aprile dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), che ha mostrato che il 72% dei pazienti Covid-19 ospedalizzati, di età pari o superiore a 65 anni, presentava ipertensione.

 

La questione è ancora aperta, ma si prospetta di grande importanza nell’ambito della lotta al nuovo coronavirus

I farmaci utilizzati in questi casi sono noti come “ACE-inibitori“. Anthony Fauci, principale esperto di malattie infettive del governo degli Stati Uniti, ha citato uno studio che mostra tassi simili di ipertensione tra i pazienti Covid-19 morti in Italia e ha suggerito che questo tipo di medicine potrebbero agire come “accelerante” per il virus. “Ci sono milioni di americani che assumono quotidianamente ACE-inibitori“, ha affermato il dottor Caleb Alexander, co-direttore del Johns Hopkins Center for Drug Safety and Effectiveness di Baltimora. “Questa è una delle questioni cliniche aperte più importanti“, continua.

Il National Institutes of Health statunitense ha lanciato un invito ad intraprendere maggiori sforzi per la definizione di questa grande incognita. Un consorzio indipendente di ricercatori ha infatti avviato uno studio per analizzare le cartelle cliniche di migliaia di pazienti Covid-19 negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Tale progetto fa parte del programma Osservational Health Data Sciences and Informatics, piattaforma di ricerca open source che consente studi su larga scala.

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