Alcuni ricercatori statunitensi hanno condotto uno studio che mostra la diffusione di sette varianti del coronavirus nel Paese; non è ancora chiaro se i nuovi ceppi siano più contagiosi rispetto a quelli già noti, ma i ricercatori sono preoccupati, poiché queste varianti presentano una mutazione nella medesima lettera genetica. Jeremy Kamil, virologo del Louisiana State University Health Sciences Centre Shreveport e coautore dello studio, spiega che questa mutazione indica chiaramente la presenza di un fenomeno problematico.
Il dr. Kamil precisa di aver notato le nuove varianti mentre stava sequenziando alcuni campioni di coronavirus, e che tali varianti presentano mutazioni sullo stesso aminoacido. Questo rappresenta un grave motivo di preoccupazione per gli scienziati, poiché le mutazioni potrebbero agevolare la penetrazione del virus nelle cellule umane. Lo studioso aggiunge che i virus appartengono tutti allo stesso ceppo e, dopo aver inserito il genoma in un database online utilizzato da altri scienziati, ha appreso che nel Nuovo Messico alcuni colleghi hanno trovato la stessa variante con la stessa mutazione.
L’origine del ceppo che Kamil ha individuato risale al 1° dicembre, mentre i campioni del Nuovo Messico risalgono a ottobre, ma non è chiaro quando queste varianti abbiano effettivamente iniziato a diffondersi. In tutto il Paese gli esperti hanno rilevato questa variante, ma a causa di un limitato sequenziamento del genoma è difficile conoscere la prevalenza delle varianti. Lo studio deve ancora essere sottoposto a revisione paritaria; gli esperti hanno dichiarato al Times di dover effettuare ulteriori esperimenti per valutare se queste mutazioni hanno un impatto sulla trasmissione o sulla morbilità.
Anche nel resto del mondo i ricercatori hanno individuato varianti più contagiose. Una variante scoperta per la prima volta nel Regno Unito, la B.1.1.7, è dal 35% al 45% più trasmissibile rispetto ad altri ceppi presenti negli Stati Uniti, mentre una nuova valutazione degli scienziati del governo britannico indica che la stessa variante potrebbe essere dal 30% al 70% più letale del virus originale.
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