Il mondo sta attraversando quella che forse è la fase più acuta della pandemia di coronavirus, con almeno un milione di contagi e più di 60.000 decessi in tutto il pianeta. Si tratta di una situazione grave, che sembra non risparmiare davvero nessun angolo del mondo. Mentre nelle principali metropoli del mondo sono state previste ed applicate le misure restrittive più drastiche, come l’isolamento in casa e il distanziamento sociale, per tentare di arginare il più possibile l’avanzata del Sars-Cov2, risulta invece molto più complesso ottenere numeri relativi alla pandemia dalle zone più remote ed isolate del mondo.
In particolare, sono stati registrati i primi casi di positività al nuovo coronavirus addirittura tra le tribù indigene del Brasile, come ha riportato il servizio sanitario indigeno del Ministero della Sanità brasiliano, il SESAI. A destare l’attenzione della comunità scientifica mondiale è quindi stato il primo contagio tra le oltre 300 tribù che abitano le zone più remote del paese: si tratta di un ragazzo di 19 anni, originario di un villaggio della foresta pluviale amazzonica. Il ragazzo aveva viaggiato molto negli ultimi tempi, seguendo il corso dei fiumi che si ramificano nell’area e una volta rientrato a casa ha cominciato a lamentare mal di gola e dolori al petto, maturando in poco tempo anche febbre alta.
La notizia arriva proprio in un momento cruciale per la vita di queste popolazioni indigene, che in questi giorni si stavano adoperando per ripiegare nei meandri della foresta pluviale proprio per cercare di mettersi al sicuro dal coronavirus. La situazione a questo punto potrebbe diventare piuttosto preoccupante, dal momento che in questi territori non è possibile condurre un monitoraggio costante ed accurato sull’eventuale (e per certi versi, tristemente inevitabile) aumento del numero di contagi.
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