Il coronavirus potrebbe essere rimasto inattivo un po’ in tutto il mondo, per poi riattivarsi in seguito a nuove condizioni ambientali favorevoli. La teoria esposta da un medico britannico mette in dubbio che il virus sia comparso per la prima volta a Wuhan.
Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico The Telegraph lo scienziato sostiene che vi siano prove sempre più consistenti che il virus fosse presente altrove, prima che emergesse in Cina.
Uno degli elementi a sostegno della tesi è la scoperta fatta da alcuni virologi spagnoli, che la scorsa settimana hanno comunicato di aver trovato tracce del coronavirus in campioni di acque reflue raccolti nel marzo 2019; dieci mesi prima che Wuhan diventasse il focolaio del nuovo coronavirus.
In Italia sarebbero state trovate tracce del virus nei campioni di acque reflue di Milano e Torino, risalenti a metà dicembre 2019. In Brasile una analisi analoga ha trovato tracce che datano allo scorso novembre. Secondo Jefferson molti virus sono inattivi, in tutto il mondo, ed emergono quando le condizioni diventano favorevoli. E potrebbero scoprire con la stessa rapidità con cui compaiono.
“Potremmo essere davanti a un virus dormiente che è stato attivato dalle condizioni ambientali”, ha spiegato Jefferson. Spiega pure che simili casi siano accaduti anche con l’influenza spagnola. Nel 1918 circa il 30% della popolazione delle Samoa morì di influenza spagnola e non aveva avuto alcuna comunicazione con il mondo esterno.
Per Jefferson anche la teoria della propagazione per via aerea del virus presenterebbe dei limiti. “I focolai devono essere investigati correttamente”, dice il medico. “Bisogna fare ciò che John Snow ha fatto con il colera”. Mettere in discussione tutto, e iniziare a costruire ipotesi che si adattano ai fatti. Non viceversa.
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