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Attualmente possiamo conoscere se una persona è stata contagiata o meno dal coronavirus grazie a un semplice test di cui ne esistono diverse varianti. Oltre a questo, possiamo capire di che ceppo si tratta facendo un’analisi più approfondita. Detto ciò, non si può sapere quale sarà il decorso della malattia del contagiato, ma potremmo presto essere in grado di farlo.
Grazie a un paio di scoperte avvenute in Italia si possono effettuare diagnosi precoci per capire un paio di fattori importanti in base alla carica virale. Uno riguarda la contagiosità del paziente, che in reale è il dato meno utile, e la gravità della malattia, del Covid-19.
Venire contagiati dal coronavirus non vuol dire essenzialmente diventare malati. Si può risultare asintomatici, si possono presentare sintomi lievi e o gravi. A seconda di quello che si presenta, il paziente verrà trattato in modo diverso. Poterlo sapere in anticipo permette di gestire meglio le ospedalizzazioni magari anche risparmiando posti letto importanti in terapia intensiva e sub-intensiva.
Questa analisi viene permessi da due biomarcatori il cui utilizzo è stato scoperto dal centro Ceinge-Biotecnologie Avanzate a Napoli con un team guidato dal genetista Massimo Zolfo. Le due spie in questione si chiamano sgN e sgE. Il primo dei due indica una maggiore carica virale. Un kit ad hoc potrebbe identificarlo in anticipo.
Le parole della ricercatrice Margherita Ruoppolo, responsabile di un’altra scoperta legata a dei lipidi cellulari: “Siamo arrivati così a capire che una particolare classe di ceramidi endogeni ha livelli molto più alti nei pazienti affetti da una forma severa di patologia da coronavirus. È possibile, inoltre, pensare di poter utilizzare tali marcatori per valutare l’efficacia del trattamento terapeutico dell’infezione da coronavirus in pazienti affetti da una forma grave.”
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