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Covid-19: definire con precisione i confini della nebbia cerebrale non è semplice

Dopo aver contratto il Covid-19 e averlo superato molte persone hanno suggerito che alcuni sintomi continuavano ad esistere, come la nebbia cerebrale. Questa condizione può durare diversi mesi dopo l’infezione senza alcuna possibilità di usufruire di terapie efficaci per ridurla. La nebbia mentale è un problema di salute noto, spesso sottovalutato, che esisteva ben prima della pandemia da coronavirus, ma negli ultimi due anni e mezzo ha interessato una crescente quantità di persone, spingendo gruppi di ricerca a occuparsene e ad approfondire le loro conoscenze scientifiche.

Come abbiamo potuto assistere in questi anni di pandemia la nebbia cerebrale è uno dei sintomi principali del Long Covid, gli strascichi che la malattia da coronavirus lascia in alcune persone dopo la guarigione, anche se non erano state particolarmente male. I sintomi segnalati dai pazienti variano moltissimo e vanno da una perenne sensazione di stanchezza a ricorrenti dolori articolari, passando per disturbi del gusto e dell’olfatto, mal di testa, problemi alla vista e sensazioni di intorpidimento agli arti.

 

Covid-19, tutto quello che c’è da sapere sulla nebbia cerebrale

Ciò che porta il coronavirus a sviluppare sintomi così persistenti non è ancora completamente chiaro: le ricerche sono in corso e tra i principali sospettati c’è la forte reazione immunitaria indotta dall’infezione virale, che porta il nostro sistema immunitario a reagire più del dovuto, danneggiando il nostro organismo. A prescindere dalla causa, chi soffre di questa condizione ha solitamente problemi a concentrarsi e a svolgere numerose attività, comprese quelle più banali. I pazienti faticano a trovare le parole mentre pronunciano una frase, perdono pezzi delle conversazioni, dimenticano rapidamente le richieste che hanno ricevuto, non riescono a fare attenzione a ciò che stanno facendo e talvolta hanno la sensazione di essere assenti o disorientati.

Quindi definire con precisione i confini della nebbia mentale non è cosi semplice ed è proprio per questo che non ci sono definizioni mediche chiare. Prima della pandemia la condizione veniva riscontrata nelle persone con gravi disturbi del sonno, malattie neurologiche o in individui reduci da periodi di forte stress lavorativo o con sbalzi ormonali. Il problema veniva inoltre segnalato da pazienti che assumevano farmaci come gli antistaminici o i chemioterapici. Negli anni della pandemia, i casi di nebbia mentale sono aumentati sensibilmente e sono stati segnalati dal 20-30% delle persone che avevano avuto il coronavirus.

Convivere con questa condizione non è semplice: alcune persone provano a condurre ugualmente la loro vita come facevano prima della malattia, mentre altre non riescono a lavorare e notano di non riuscire a trovare la concentrazione per farlo come avveniva prima che si ammalassero. Tra i test più utilizzati per rilevare un eventuale deterioramento cognitivo lieve c’è il Montreal Cognitive Assessment, che consiste in una serie di prove sulla concentrazione, la memoria, il linguaggio, le capacità di calcolo e di orientamento. È un test utilizzato soprattutto per aiutare i neurologi nelle diagnosi di demenza senile, dunque è poco adatto per valutare problemi cognitivi nei soggetti più giovani. Non sembrano comunque esserci molti dubbi sul fatto che la nebbia mentale sia causato da più fattori, alcuni dei quali già noti e osservati con altre malattie virali, verso le quali abbiamo però sviluppato maggiori capacità immunitarie nel corso del tempo.

Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay

Marco Inchingoli

Nato a Roma nel 1989, Marco Inchingoli ha sempre nutrito una forte passione per la scrittura. Da racconti fantasiosi su quaderni stropicciati ad articoli su riviste cartacee spinge Marco a perseguire un percorso da giornalista. Dai videogiochi - sua grande passione - al cinema, gli argomenti sono molteplici, fino all'arrivo su FocusTech dove ora scrive un po' di tutto.

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