Sono molti gli studi che nel corso degli ultimi mesi hanno sottolineato come il Covid-19, la malattia causa dal SARS-CoV-2, non colpisce solo i polmoni, ma causa danni a molti organi. Tra questi c’è anche il cervello e di conseguenza in molti pazienti possono comparire danni neurologici. Secondo una nuova ricerca, alcuni di questi possono risultare a lungo termine.
Un recente studio pubblicato sul The Journal of the Alzheimer’s Association vuole fare luce su questo rischio andando ad analizzare anche pandemia passate, come la famosa influenza spagnola di un secolo fa. Essendo un virus neutropico, come proprio quello della pandemia del 1917, può entrare nelle cellule nervose e creare danni gravi.
Le parole del Dr. de Erausquin, uno degli autori dello studio: “La traccia del virus, quando invade il cervello, porta quasi direttamente all’ippocampo. Si ritiene che questa sia una delle fonti del deterioramento cognitivo osservato nei pazienti COVID-19. Sospettiamo che possa anche essere parte del motivo per cui ci sarà un declino cognitivo accelerato nel tempo negli individui suscettibili.”
Sono diversi i rischi derivati dal SARS-CoV-2, per esempio lo sviluppo di fluido nel cervello che può creare eccessiva pressione all’interno della calotta cranica, infiammazione delle pareti e convulsioni. Quello che ancora non si capisce è quanto questi danni possano risultare duraturi. Per esempio, il danno che viene causato ai polmoni può risultare irreversibile in alcuni pazienti.
Marcia Carrillo, co-autore e capo scientifico dell’Alzheimer Association: “Come sottolinea l’articolo Alzheimer e demenza, la storia medica poco riconosciuta di questi virus nel secolo scorso suggerisce un forte legame con le malattie del cervello che influenzano la memoria e il comportamento. In questo momento difficile, possiamo prendere vantaggio da questa situazione capitalizzando la portata e la reputazione globali dell’Associazione Alzheimer per riunire la comunità di ricerca per illuminare l’impatto a lungo termine di Covid-19 sul cervello.”
Ph. credit: New Scientist
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