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Cremare defunti radioattivi potrebbe risultare essere una pessima scelta

Al contrario di quella che si pensa, venir in contatto con sostanze radioattive non è poi così raro. Ovviamente in certi campi è più comune che in altri come in quello sanitario; come mai? I trattamenti per alcuni forme di cancro sono basate sull’uso di sostanze radioattive. Sono trattamenti particolarmente aggressivi è a volta capita che il paziente non sopravvive. A seconda della volontà di quest’ultimo, o della famiglia o dello stato, la successiva destinazione del corpo potrebbe essere un forno crematorio.

Questo esempio non è fatto a caso, ma si basa su un avvenimento recente accaduto in Arizona. Un crematorio è diventato contaminato da alcune sostanze radioattive a causa proprio della cremazione di un corpo di un paziente che aveva subito un trattamento radioattivo pochi giorni prima. Si tratta di fatto grave in quanto nelle urine dell’operatore che ha portato a termine l’operazione sono stati trovati tracce di contaminazione.

 

Dispersione

Il paziente era stato trattato con 193,6 mCi di lutezio (Lu 177) per via intravenosa; l’emivita di tale sostanza è di 6,65 giorni. Purtroppo l’uomo è morto dopo due giorni e il corpo fu cremato al quinto giorno quindi con ancora della sostanza presente nell’organismo. Dopo che il caso fu scoppiato, le analisi fatte sul crematorio dopo oltre un mese hanno evidenziato la presenza del Lu 177 sia nel forno che sulle altre apparecchiature.

Il rivelatore Geiger-Mueller ha registrato un valore di 7,5 mR ossia per un uomo vuol dire un esposizione di circa 0.0075 rems all’ora; per gli Stati Uniti il limite che un lavoratore dovrebbe subire nell’arco di un anno è di 5 rems. Nel complesso quindi il caso non ha creato problemi, ma ha sollevato una mancanza di direzioni precise negli USA.

Giacomo Ampollini

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