Secondo un nuovo studio sembra che i cuccioli di foca condividano con gli esseri umani delle capacità vocali. Gli adorabili cuccioli di questo animale così importante per gli ecosistemi marini sembrano infatti in grado di cambiare il tono della voce per essere capiti meglio, proprio come facciamo noi esseri umani.
Questa capacità di modulare il tono della voce è chiamata plasticità vocale e permette di regolare i segnali vocali in risposta ai cambiamenti ambientali che si sovrappongono o coprono la voce di chi “parla”.
I ricercatori hanno intrapreso questo studio sulla voce delle foche basandosi su alcune caratteristiche particolari già riscontrate in questi animali, come la rara capacità di imitare nuovi suoni (apprendimento vocale), che era stata osservata in precedenza tra gli esemplari adulti di alcune specie di foche e poche altre specie di mammiferi.
La plasticità vocale è dunque presente solo in poche specie di mammiferi, tra cui l’uomo in cui la capacità di cambiare il tono della voce per creare suoni più acuti o più bassi è fondamentale per la comunicazione umana.
Come afferma Andrea Ravignani, ricercatore principale dello studio e leader del gruppo di ricerca del dipartimento di bioacustica comparata presso il Max Planck Institute for Psycholinguistics, “osservando uno dei pochi altri mammiferi che potrebbero essere in grado di apprendere i suoni, possiamo capire meglio come noi umani acquisiamo la parola e, in definitiva, capire perché siamo animali così chiacchieroni”.
Sembra dunque che i pinnipedi, ovvero gli animali come foche e trichechi, sono ottimi modelli per l’apprendimento vocale poiché sono più vicini di altre specie agli umani in termini di sviluppo evolutivo e diversificazione.
Per condurre lo studio, il team di ricerca ha registrato i suoni del vento e altri rumori ambientali su un banco di sabbia nel mare di Wadden, tra la Danimarca, la Germania e i Paesi Bassi. Per registrare i suoni hanno utilizzato un software per computer in grado di filtrare l’audio registrato su una frequenza che si sovrapponesse alla gamma di suoni dei cuccioli di foca chiama attrazione madre.
Una volte ottenute le registrazioni ambientali dei suoni che potevano essere di intralcio alla comunicazione dei cuccioli di foca, gli autori hanno poi testato otto foche selvatiche, sane e non imparentate, di età compresa tra 1 e 3 settimane e provenienti dal Centro di riabilitazione e ricerca delle foche nei Paesi Bassi, un centro che cura i cuccioli di foca per poi reimmetterli nel loro ambiente naturale.
I ricercatori hanno posizionato degli altoparlanti vicino al gruppo test di cuccioli di foca, riproducendo la registrazione di 45 minuti di suoni ambientali di diversa intensità, riproducendoli per alcuni giorni, alternati a momenti senza riproduzioni.
Durante questi test i ricercatori hanno notato che quando i cuccioli di foca sentivano i rumori del mare abbassavano il tono della voce. Mentre quando venivano riprodotti dei rumori più intensi, i cuccioli hanno usato un tono di voce più stabile e una foca ha alzato la voce. Questo comportamento, chiamato effetto Lombard, è tipico del linguaggio umano. Anche noi infatti se ci troviamo in mezzo alla confusione, ci troviamo ad alzare la voce per farci capire.
Ravignani spiega dunque che i risultati dello studio hanno mostrato che “i cuccioli di foca hanno un controllo più avanzato sulle loro vocalizzazioni di quanto ipotizzato fino ad ora. Questo controllo sembra essere già presente solo a poche settimane di età”.
Inoltre lo studio dimostra che le foche potrebbero essere la specie più promettente per svelare il mistero della parola anche nell’essere umano. La ricerca in futuro potrebbe esplorare dunque ulteriormente quali altri fattori potrebbero essere importanti per la plasticità vocale delle foche.
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