Nonostante l’aumento globale del numero assoluto di persone affette da demenza — dovuto alla crescita demografica e all’allungamento della vita media — la prevalenza della malattia sta diminuendo da una generazione all’altra. Oggi, una persona tra i 75 e gli 80 anni ha solo il 15% di probabilità di essere colpita dalla sindrome.
È quanto emerge da un vasto studio condotto da un team dell’Università del Queensland, pubblicato su JAMA Network Open, che ha analizzato dati provenienti da oltre 62.000 individui nati tra il 1890 e il 1948, in Europa, Regno Unito e Stati Uniti.
Uno studio intergenerazionale su larga scala
I ricercatori hanno suddiviso i partecipanti in otto coorti di nascita, ciascuna di 5 anni, e in sei fasce d’età comprese tra i 71 e oltre i 95 anni. Questa suddivisione ha permesso di osservare in modo preciso l’andamento della demenza per età e generazione.
Il risultato? Una netta diminuzione della prevalenza della demenza nelle coorti più recenti. Negli Stati Uniti, ad esempio, tra i nati tra il 1890 e il 1913, il 25,1% ha sviluppato la malattia, mentre tra i nati tra il 1939 e il 1943 la percentuale scende al 15,5%.
Perché la demenza sta diminuendo
Secondo Sabrina Lenzen, ricercatrice coinvolta nello studio, il merito è da attribuire a numerosi progressi sociali e sanitari:
- Maggiore livello di istruzione, soprattutto per le donne
- Miglioramento delle condizioni di vita
- Miglior accesso alle cure mediche
- Migliore gestione di pressione arteriosa e colesterolo, fattori chiave nella prevenzione della demenza
“Abbiamo assistito a un miglioramento della salute cardiovascolare, che è strettamente legata al rischio di sviluppare la demenza”, ha spiegato Lenzen in una nota dell’università.
Non è solo questione di età
Lo studio conferma che, nonostante l’età sia un fattore di rischio, non è l’unica causa determinante. L’aumento dei casi globali non smentisce il trend positivo, ma è piuttosto una conseguenza del crescente numero di anziani nel mondo.
“Spesso si associa la demenza esclusivamente all’età avanzata, ma questa visione è parziale”, sottolinea Lenzen. “Anche fattori ambientali come inquinamento atmosferico, obesità e stili di vita sedentari hanno un impatto importante”.
Una speranza per il futuro (ma con cautela)
I dati suggeriscono che la prevenzione è possibile e che il cambiamento generazionale in termini di educazione, accesso alla sanità e benessere globale ha effetti tangibili anche sulle malattie neurodegenerative.
Ma i ricercatori lanciano anche un monito: l’invecchiamento della popolazione globale e nuovi fattori di rischio emergenti potrebbero invertire questo trend, se non si continuerà a investire su prevenzione, educazione e ricerca.
Foto di Astrid Schaffner su Unsplash