La demenza ed altre malattie neurodegenerative sono molto diffuse nella popolazione con più di 60 anni. Possono portare a problemi di memoria, depressione, ansia ecc., oltre a ridurre la longevità. Senza dubbio il morbo più diffuso è quello di Alzheimer.
Una recente ricerca condotta da un gruppo di esperti dell’università di Glasgow, in Scozia, e pubblicata sul New England Journal of medicine ha affermato che gli ex calciatori agonistici hanno un rischio tre volte superiore al normale di andare incontro a demenza e malattie neurodegenerative dovute ai colpi di testa, non tanto per la potenza d’impatto ma per la quantità.
La ricerca è iniziata nel gennaio 2018 e ha preso spunto dal tragico caso nel 2002 dell’ex attaccante del West Browmich Jeff Astle, morto e vittima di demenza. Gli studiosi, coordinati da Daniel F. Mackay dell’università di Boston, hanno confrontato le 7.676 morti di ex calciatori, il campione ha preso in esame chi ha giocato a livello professionistico in Scozia fra il 1900 e il 1976, con le 23.000 fra il resto della popolazione, notando quinti un rischio nettamente superiore per gli ex calciatori che per le persone normali.
Willie Stewart, che ha condotto la ricerca, così ha commentato: “il rischio di malattie fra gli ex calciatori rispetto al resto della popolazione è cinque volte superiore per l’Alzheimer, di quattro volte superiore per le patologie come la Sla, di due volte superiori per il Parkinson”
Questo rischio maggiore è, come detto in precedenza, dovuto alla quantità di colpi di testa del calciatore. Esso colpisce la palla con la testa in media 6-12 volte a partita (ma ovviamente in allenamento molto di più), il che significa migliaia di volte nell’arco della carriera. Questo aspetto, che può sembrare banale, è quello che tende ad aumentare il rischio di demenza.
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