Guarire dalla depressione? C’è chi pensa ancora che non sia possibile, ma in realtà non è così. La depressione, caratterizzata e riconoscibile dalla profonda tristezza, dal calo della spinta vitale, dalla perdita di interesse verso le normali attività, dalla comparsa di pensieri negativi e pessimistici, può essere curata con successo in sette casi su dieci.
Tuttavia per arrivare a questo risultato, che è quello a cui anelano tutti i pazienti, occorre individuare la terapia più appropriata. Allo specialista spetta la scelta, alla persona malata il compito di seguire alla regola la terapia. Situazioni che non sempre combaciano, se in Italia, su cento persone affette dalla depressione, soltanto 17 ricevono un trattamento adeguato.
A lanciare l’allarme sono gli psichiatri italiani. Obiettivo dell’indagine, condotta in 21 Paesi europei, era quello di rilevare la qualità delle cure ricevute dalle persone affette dalla depressione. Lo studio ha fatto emergere come, in media, soltanto il 23 per cento delle persone affette da depressione maggiore nei Paesi ad alto reddito venga curato in maniera adeguata. Un dato preoccupante, anche se lo è ancora di più quello dedotto valutando i dati raccolti lungo la Penisola: inferiori di cinque punti percentuali.
Sicuramente c’è una scarsa percezione della depressione come malattia. Ma anche un ricorso inadeguato alle cure più appropriate. Questi dati fanno emergere il vero dato chiave: ancora oggi una percentuale molto alta di persone non ricorre alle cure, perché la depressione non viene percepita come una malattia da curare.
Anche quando ci si rende conto del bisogno di essere aiutati, spesso non si ricevono le cure più adeguate. Questo dato fa rabbia, perché oggi la depressione maggiore può essere guarita. Negare la malattia è un meccanismo di difesa della propria identità. Così, se da un lato la depressione è la prima causa di assenza dal lavoro, dall’altro può dare origine al fenomeno opposto: quello che gli esperti definiscono “presenteismo“.
Si continua ad andare al lavoro per nascondere, a se stessi e ai colleghi, la depressione. Ma in realtà la produttività è di molto inferiore rispetto al solito e il lavoro non svolto finisce per aggravare i compiti di tutti», aggiunge lo specialista. Le responsabilità sono anche dei medici, soprattutto di medicina generale, non sempre pronti a riconoscere un disagio psicologico e a indirizzare il paziente verso il percorso di cure più appropriato.
Una persona depressa perde la motivazione e il desiderio di svolgere qualsiasi azione. Nei casi lievi, si ricorre in prima battuta alla psicoterapia. Mentre nelle forme moderate e gravi diventa necessario, fin da subito, il supporto farmacologico. Ci sono due aspetti che rischiano di far sembrare inefficaci le terapie. Ciò vuol dire che, nei primi giorni di trattamento, i sintomi non tendono a scemare. L’altro momento delicato è rappresentato dalla progressiva riduzione della terapia
Sospendere in maniera brusca l’assunzione di un antidepressivo porta alla ricomparsa di sintomi riconducibili alla malattia: quali lo stato d’ansia, l’irritabilità, l’insonnia e le vertigini. Queste possibili conseguenze, che ogni esperto dovrebbe fare presente al proprio assistito, portano chi le registra a pensare che siano dovute all’inefficacia dei farmaci. Mentre, di fatto, è vero l’esatto contrario.
Inquadrare in maniera adeguata una depressione permette anche di proteggere il resto del corpo. Questo perché è ormai chiaro che, per il tramite di alcuni marcatori dell’infiammazione, la depressione aumenta il rischio per la tenuta della salute cardio e cerebrovascolare. La depressione può peraltro insorgere come conseguenza di un infarto, evento che accade all’incirca in un quarto dei pazienti entro un mese dall’evento acuto. Le conseguenze, in questo caso, possono essere drammatiche: la depressione aumenta in maniera significativa la mortalità a distanza di sei mesi dall’infarto.
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