Una particolare specie sudafricana di elicriso, l’Helichrysum umbraculigerum, conosciuta in quei luoghi come “ombrello lanoso”, potrebbe essere usata per curare il dolore, secondo quanto emerge da uno studio israeliano recentemente pubblicato sulla rivista, Nature Plants.
Nonostante questa pianta non abbia nulla a che fare con la cannabis, sembra essere comunque in grado di produrre diversi composti attivi presenti nella cannabis, inclusi alcuni che potrebbero avere nuovi usi medici. I ricercatori sono riusciti infatti a determinare la serie di passaggi biochimici necessari alla pianta per produrre questi i cannabinoidi e ritengono che possono essere riprodotti in laboratorio.
A realizzare questo studio è stato un team del Weizmann Institute of Science di Rehovot che ha identificato più di 40 cannabinoidi presenti in questa particolare specie di elicriso. L’Helichrysum umbraculigerum è una pianta perenne che può raggiungere un metro di altezza. Il genere Helichrysum è costituito da circa 600 specie di piante da fiore della famiglia dei girasoli (Asteraceae).
Nonostante questo particolare elicriso non raggiunga i livelli di cannabinoidi prodotti dalla cannabis, con i suoi oltre 100 tipi, potrebbe comunque essere un valido sostituto, data anche la sua crescita veloce.
Come spiega infatti la dottoressa Shirley (Paula) Berman, che ha guidato lo studio nel laboratorio del Prof. Asaph Aharoni nello stabilimento di Weizmann e dipartimento di scienze ambientali, “abbiamo trovato una nuova importante fonte di cannabinoidi e strumenti sviluppati per la loro produzione sostenuta che possono aiutare a esplorare il loro enorme potenziale terapeutico”.
Come sappiamo, i cannabinoidi da tempo utilizzati per alleviare il dolore, la nausea, l’ansia e le crisi epilettiche. Inoltre i recettori molecolari che rispondono a questi composti negli esseri umani, si trovano non solo nel cervello, ma anche in tutto il corpo. Questo potrebbe significare che i cannabinoidi potrebbero essere usati per trattare diverse condizioni patologiche, dal cancro alle malattie neurodegenerative.
Proprio per questo uso dei cannabinoidi, Barman ed i suoi colleghi hanno deciso di approfondire le particolari proprietà di questa specie di elicriso. Questo elicriso è infatti già noto nella tradizione locale per le sue caratteristiche e veniva bruciato nei rituali per rilasciare fumi inebrianti, il che suggeriva che potesse contenere sostanze chimiche attive sul cervello.
Studi più vecchi avevano inoltre già ipotizzato la presenza di cannabinoidi in questa pianta, ma non era disponibile la tecnologia adatta per affermarlo con certezza. Ora, grazie alle moderne tecnologie, Berman e colleghi hanno confermato le ipotesi di quel primo studio. Sequenziando l’intero genoma dell’elicriso ombrello lanoso e utilizzando una chimica analitica avanzata, inclusa la spettroscopia di massa ad alta risoluzione, sono riusciti ad identificare i tipi di cannabinoidi prodotti dalla pianta e a tracciare l’intero percorso biochimico che porta alla loro produzione.
Dalle analisi è emerso che l’elicriso sudafricano produce cannabinoidi principalmente nelle sue foglie. Decisamente un vantaggio rispetto alla cannabis, i cui composti si trovano principalmente nelle infiorescenze, rendendo più difficile e limitata nel tempo la loro raccolta.
I ricercatori hanno inoltre determinato che sei dei cannabinoidi trovati nell’ombrello lanoso sono identici a quelli della cannabis. Tra questi non vi sono però il THC e il CBD, ma è presente il cannabigerolo (CBG), un cannabinoide che di recente si è scoperto avere potenziali applicazioni terapeutiche ed essere privo di effetti che alterano l’umore. Inoltre la forma acida del CBG, che appare in una concentrazione relativamente alta in questo particolare elicriso, è un precursore per la produzione di tutti i cannabinoidi classici.
La ricerca ha inoltre svelato nuovi ed importanti dettagli sulla genetica dei cannabinoidi, permettendo di arrivare alla creazione degli enzimi che producono cannabinoidi e ad utilizzarli per creare cannabinoidi finiti nel lievito. Questo potrebbe rappresentare un passo in avanti nella determinazione di un nuovo modo per produrre questi composti per la ricerca e l’industria biotecnologica.
Ph. Credit: Didier B – Own work, CC BY-SA 2.5, via Wikimedia
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