I piedi umani si sono evoluti fino a restare sempre uguali nell’arco di più di 3,5 milioni di anni, il che ha consentito all’uomo di riuscire a camminare e correre su due gambe, hanno detto gli scienziati. Gli esperti ritengono che la scoperta mostri un passaggio fondamentale nell’evoluzione umana e che essa possa aiutare a migliorare il design dei moderni prototipi di piedi robotici. Il cosiddetto “arco trasversale“, che corre lungo la larghezza del mesopiede umano, è assente in altri primati come scimpanzé e gorilla, che al contrario presentano piedi piatti e più flessibili.
Mahesh Bandi, professore presso la Okinawa Institute of Science and Technology Graduate University in Giappone, che ha partecipato allo studio, ha dichiarato: “Riuscire a comprendere in maniera dettagliata il modo in cui funziona il piede umano può avere diverse applicazioni interessanti nel mondo reale“. Gli antropologi hanno discusso a lungo su come la struttura del piede umano riesca a garantire la rigidità essenziale per la camminata eretta. Mentre la maggior parte degli studi si è concentrata sull’arco longitudinale, che va dal tallone alla punta del piede, il ruolo dell’arco trasversale è stato per lungo tempo trascurato.
Per comprendere se sia l’arco trasversale a conferire rigidità alla struttura del piede, un team di ingegneri, tra cui scienziati dell’Università di Warwick, ha eseguito una serie di test di flessione sui piedi umani ed ha esaminato campioni fossili di molti antenati dei moderni esseri umani. Hanno anche creato simulazioni al computer e modelli in plastica del mesopiede, per poi misurare quanta forza era necessaria per piegarli. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature, hanno mostrato che l’arco trasversale è responsabile per oltre il 40% della rigidità del piede.
Proprio come piegare un foglio di carta parallelamente alla larghezza conferisce allo stesso rigidità nella direzione longitudinale, i ricercatori ritengono che l’arco trasversale possa avere un ruolo simile nei piedi. Il team quindi crede che le scoperte effettuate possano spiegare come l’Australopithecus afarensis, un parente dell’essere umano che visse circa 3,66 milioni di anni fa, potesse generare impronte del tutto simili a quelle degli umani moderni, nonostante non presentasse, almeno apparentemente, un arco longitudinale nella struttura del piede.
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