I fumi derivanti dagli incendi australiani hanno già percorso migliaia di chilometri nell’atmosfera terrestre, arrivando in Amazzonia, Alaska, fino al Circolo polare artico. Gli scienziati avvertono sulla tossicità di questi, sull’impatto a lungo termine che avranno sull’ambiente e, di conseguenza, sulla salute umana. Le particelle nocive non solo quelle che formano il fumo, ma sono anche quelle che in realtà non si vedono.
Gli spaventosi incendi che hanno colpito l’Australia hanno distrutto tutto quello che hanno incontrato sulla loro strada, ma i fumi prodotti hanno reso irrespirabile l’aria soprattutto nelle grandi città: sono circolate ovunque le immagini di Sydney in cui la visibilità era ridotta al minimo. Rebecca Buchholz, esperta del National Center for Atmospheric Research (NCAR), ha paragonato l’aria di Canberra a quella di un bar pieno di avventori fumatori. Tuttavia, questi fumi non sono rimasti sopra l’atmosfera australiana, ma da mesi attraversano l’atmosfera e l’Oceano Pacifico fino ad arrivare al Circolo polare artico.
Questa coltre prodotta dalla combustione è un mix di particelle combuste e di gas invisibili che si dissipano nell’aria fino a svanire. Sono due le componenti principali di questi fumi: la parte visibile – il fumo stesso – e la parte non visibile, ed entrambe sono dannose per la salute. La prima è un insieme di particelle che prende il nome di particolato: provengono dai resti carbonizzati degli alberi, soprattutto di eucalipto. Queste particelle si sono liberate e hanno viaggiato nell’atmosfera spinte dagli stessi venti che hanno alimentato le fiamme, fino ad arrivare a rendere irrespirabile l’aria di Sydney, Melbourne e Brisbane.
“Tutto ciò ha un serio impatto diretto sulla qualità dell’aria”, afferma Mark Parrington, scienziato senior presso il Servizio di monitoraggio atmosferico del programma europeo Copernicus. Inalare il particolato non ha conseguenze solo sui polmoni, ma anche sul cuore. Gli scienziati, infatti, hanno ripetutamente dimostrato che l’inalazione di queste sostanze provoca un rapido aumento delle ostruzioni nelle arterie. A cui poi si aggiungono gli studi, secondo cui le particelle più piccole portano alla demenza e all’Alzheimer.
Il particolato rimane nell’aria dai 5 ai 7 giorni circa, mentre dallo spazio appare come una nube marrone. Il vento sposta le particelle nell’aria, ma il loro viaggio viene interrotto quando incontrano la pioggia, riversandosi quindi a terra. In caso contrario, finiscono nell’oceano, per la gravità e le miglia percorse, o arrivano su altre isole come nel caso delle immagini della Nuova Zelanda, i cui ghiacciai sono coperti di uno strato di polvere marroncina.
La componente invisibile di questi fumi è ciò che preoccupa maggiormente gli esperti, perché avrà conseguenze a lungo termine. Si tratta principalmente di anidride carbonica, uno dei principali gas serra. Secondo le stime, dal 1° settembre 2019 al 15 gennaio 2020, sono stati liberati nell’aria circa 400 milioni di tonnellate di CO2, ossia il 75% delle emissioni che si contano in media su tutto il territorio australiano in un solo anno. Questo gas rimarrà nell’atmosfera per centinaia di anni secondo gli esperti, nonostante le piante sulla terraferma e il plancton nell’oceano ne consumeranno una parte, ma non si sa quanto.
Ovviamente non c’è solo l’anidride carbonica di cui preoccuparsi, ma anche l’ossido di carbonio e l’ozono, il quale è particolarmente pericoloso per i polmoni. Infatti, le particelle di ozono penetrano nei tessuti polmonari prima che il vento riesca a spazzare via il fumo: alte concentrazioni sono state registrate nelle grandi metropoli, portando la capitale Sydney ad aver la peggior qualità dell’aria al mondo, strappando il primato a Nuova Delhi.
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