Secondo una nuova ricerca, l’inquinamento del fiume Gange sta raggiungendo nuovi livelli. Non solo plastica e rifiuti sono dannosi per l’ecosistema, per l’ambiente e per la salute umana. Ma sembra che il materiale da pesca abbandonato nel fiume sia causa di seria minaccia per la fauna selvatica, tra cui lontre, e specie in via estinzione di tartarughe e delfini d’acqua dolce.
Secondo questa ricerca gli animali rimarrebbero impigliati negli attrezzi da pesca abbandonati nelle acque del Gange. Questi rimasugli delle attività di pesca, secondo quanto emerso da un’analisi delle rive, dalla foce del Gange in Bangladesh fino alla sorgente sull’Himalaya in India, sembra che questi materiali di scarto della pesca siano più presenti nelle zone vicino al mare.
Tra i rifiuti più comuni dovuti alla pesca, vi sono soprattutto reti in plastica. Secondo le inchieste e le indagini tra la popolazione locale, queste attrezzature finiscono nel Gange a causa della loro breve durata e della mancanza di sistemi di smaltimento adeguati.
Lo studio, condotto da ricercatori dell’Università di Exeter, in collaborazione con ricercatori provenienti da India e Bangladesh, è stato condotto nell’ambito della spedizione “Sea to Source: Ganges” della National Geographic Society.
Come spiega a dott.ssa Sarah Nelms, del Center for Ecology and Conservation del Penryn Campus di Exeter in Cornovaglia “il fiume Gange supporta alcune delle più grandi attività di pesca sulle acque interne del mondo, ma non è stata effettuata alcuna ricerca per valutare l’inquinamento di questo settore e il suo impatto sulla fauna selvatica”.
I ricercatori hanno utilizzato un elenco di 21 specie fluviali di “preoccupazione per la conservazione” identificate dal Wildlife Institute for India. In questa nuova ricerca, il team ha combinato le informazioni esistenti sugli intrecci di specie simili in tutto il mondo, con i nuovi dati sui livelli di rifiuti dovuti alla pesca nel Gange, per stimare quali siano le specie più a rischio.
La dottoressa Nelms è rimasta sconcertata dal quantitativo di reti da pesca e altri attrezzi abbandonati nel fiume. Come ha spiegato ella stessa, purtroppo “non esiste un sistema per riciclare le reti per i pescatori. La maggior parte dei pescatori ci ha detto che riparano e riutilizzano le reti se possono, ma se non possono farlo vengono spesso gettate nel fiume.”
Dalle interviste ai pescatori è emerso che molti di loro non sono consapevoli del reale impatto ambientale che questo provoca. Secondo la dottoressa Nelms quindi “un passo utile sarebbe quello di aumentare la consapevolezza dei reali impatti ambientali”.
La professoressa Heather Koldeweyl della ZSL (la Zoological Society of London) e l’Università di Exeter, nonché membro del National Geographic e co-responsabile scientifico di questa spedizione, ha affermato che i risultati dello studio offrono speranza per proporre soluzioni che siano basate sull’economia circolare, dove i rifiuti sono ridotti notevolmente grazie al riutilizzo dei materiali.
Ad esempio, racconta la professoressa Koldeweyl, “un’alta percentuale degli attrezzi da pesca che abbiamo trovato era fatta di nylon 6, che è un materiale prezioso e può essere utilizzato per realizzare prodotti tra cui tappeti e vestiti. La raccolta e il riciclaggio del nylon 6 ha un forte potenziale come soluzione perché taglierebbe l’inquinamento da plastica e fornirebbe un reddito. Lo abbiamo dimostrato attraverso il progetto Net-Works nelle Filippine, che ha avuto un tale successo tale da trasformarsi in un’impresa sociale autonoma chiamata COAST-4C”.
Questo tipo di interventi dunque potrebbero rappresentare una speranza per il futuro. Un obiettivo che se raggiunto proteggerebbe l’ambiente e sosterrebbe le comunità locali, in un vero approccio ecosostenibile.
Foto di Nitin Kumar da Pixabay
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