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Un recente studio ha rivelato che un gene associato all’autismo negli esseri umani potrebbe influenzare anche il comportamento sociale dei cani, in particolare la loro capacità di percepire ed elaborare i volti umani. Questo risultato apre nuove prospettive non solo nella comprensione della cognizione canina, ma anche nello studio delle origini evolutive delle interazioni sociali tra specie diverse.
Il gene in questione è NEUREXIN 1 (NRXN1), già ampiamente studiato nella ricerca sull’autismo. Negli esseri umani, mutazioni in questo gene sono state collegate a difficoltà nella comunicazione sociale, nella percezione emotiva e nell’interazione con l’ambiente. Sorprendentemente, varianti simili sono state individuate nei cani, con effetti osservabili nel modo in cui essi reagiscono ai volti umani.
Gli scienziati hanno condotto test comportamentali su un ampio campione di cani, osservando la loro capacità di fissare lo sguardo sui volti umani durante l’interazione. I cani portatori di una particolare variante di NRXN1 hanno mostrato un interesse ridotto per i volti, una caratteristica che rispecchia alcuni tratti tipici dello spettro autistico negli esseri umani. Questi animali tendevano a evitare il contatto visivo diretto e mostravano minore reattività espressiva.
Attraverso l’uso di tecnologie di tracciamento oculare (eye-tracking), i ricercatori hanno potuto misurare con precisione le aree del volto osservate dai cani. I risultati hanno mostrato che i soggetti con la variante genetica associata a NRXN1 passavano meno tempo a guardare occhi e bocca, elementi fondamentali per riconoscere emozioni e intenzioni.
Oltre al tracciamento visivo, lo studio ha incluso anche analisi genetiche e test cognitivi, confermando una correlazione tra la presenza della variante genetica e specifiche differenze nel comportamento sociale. Questo suggerisce che la sensibilità alla comunicazione facciale potrebbe avere una base genetica comune tra cani e umani, sviluppatasi durante la domesticazione del cane.
Il legame tra geni e comportamento nei cani potrebbe offrire un modello prezioso per comprendere meglio le origini evolutive dell’autismo. I cani condividono un ambiente sociale complesso con gli esseri umani e si sono evoluti per leggere i segnali umani, rendendoli un modello naturale ideale per studiare la socialità interspecifica.
Questi risultati sottolineano quanto la genetica possa influenzare comportamenti che riteniamo appannaggio esclusivo degli esseri umani. Inoltre, pongono le basi per sviluppare strategie educative personalizzate per cani con tratti comportamentali più riservati o meno inclini all’interazione visiva, migliorando così la qualità della relazione uomo-cane.
Infine, lo studio rafforza l’idea che lo studio degli animali domestici possa fornire indizi fondamentali per la comprensione dei disturbi dello sviluppo umano. La scoperta di tratti genetici condivisi nella comunicazione sociale apre la porta a una nuova visione della neurodiversità, non più ristretta al contesto umano, ma osservabile anche nel regno animale.
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