Un team di astrofisici ha proposto una teoria secondo cui le civiltà extraterrestri potrebbero autodistruggersi in meno di 1.000 anni, anche utilizzando energie rinnovabili. Lo studio, pubblicato su arXiv e guidato da Manasvi Lingam della Florida Tech e Amedeo Balbi dell’Università di Roma Tor Vergata, esplora come la crescita esponenziale nel consumo energetico possa rendere i pianeti inabitabili in tempi brevi, anche se l’energia proviene da fonti “verdi” come il solare e l’eolico.
Il team ha simulato vari scenari per civiltà aliene ipotetiche, scoprendo che qualsiasi sistema energetico, per quanto efficiente, produce una certa quantità di calore di scarto. Tale calore, se non dissipato in maniera adeguata, può causare un effetto domino di surriscaldamento. Proprio come una vasca da bagno che perde lentamente acqua e, con l’aumentare del livello dell’acqua, causa un allagamento, i livelli di energia crescenti su un pianeta causano un riscaldamento graduale, che rende il pianeta invivibile.
Il concetto si basa sulla seconda legge della termodinamica, che afferma che ogni sistema energetico ha perdite di calore inevitabili. Questo accumulo di energia dispersa sarebbe sufficiente per innescare una spirale di surriscaldamento, rendendo il pianeta inabitabile nel giro di pochi secoli. Anche nel caso di energie rinnovabili, l’uso intensivo provoca un aumento delle temperature globali.
Lo studio solleva quindi una riflessione interessante sulla ricerca di vita extraterrestre: se civiltà aliene collassassero in circa 1000 anni a causa dei cambiamenti climatici derivanti dall’eccessivo consumo energetico, la finestra per scoprire civiltà avanzate sarebbe incredibilmente breve. Considerato che 1000 anni sono una frazione di secondo in termini cosmici, trovare vita intelligente potrebbe essere più difficile di quanto si pensasse.
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