Un nuovo studio mostra che gli esseri umani potrebbero aver “riciclato” una regione chiave del cervello per aiutarli a dare un senso alla parola scritta. Nei test sulle scimmie rhesus, gli scienziati hanno dimostrato che una regione chiamata corteccia temporale inferiore era in grado di fornire le informazioni essenziali di cui abbiamo bisogno per trasformare le sequenze di lettere in qualcosa di più significativo.
Questo comportamento suggerisce che, invece di sviluppare nuove aree del cervello specificamente per la lettura, gli esseri umani potrebbero aver riutilizzato la stessa regione sviluppando la capacità di riconoscere le parole mentre vengono scritte (chiamata ortografia).
Nei nuovi esperimenti, gli scienziati hanno monitorato circa 500 zone neurali utilizzando elettrodi impiantati, mentre gli animali hanno osservato circa duemila parole e non parole. Questi dati sono stati inseriti in un modello di computer chiamato classificatore lineare, che è stato addestrato a utilizzare l’attività misurata per fare un’ipotesi intelligente sulla natura di ciascuna sequenza di lettere.
Il modello ha mostrato che l’attività cerebrale era in effetti in grado di fornire le informazioni di cui un primate avrebbe bisogno per eseguire compiti ortografici, inclusa l’interpretazione delle immagini per distinguere tra parole e non parole.
In effetti, il classificatore lineare potrebbe utilizzare questo output neurale per rilevare questa differenza con una precisione di circa il 70%, paragonabile a uno studio del 2012 su babbuini addestrati a fare la stessa cosa.
Lo studio supporta anche l’idea che gli esseri umani abbiano preso i meccanismi evoluti della corteccia temporale inferiore e li abbiano riutilizzati per dare a parole e simboli un significato appropriato, sebbene siano necessari ulteriori studi per saperlo con certezza.
Lo studio scientifico è stato pubblicato il 4 agosto sulla rivista scientifica Nature Communications.
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