Lo scandalo sollevato dal New York Times nei giorni scorsi riguardo le molestie sessuali all’interno dell’azienda, ha portato ieri ad una protesta mondiale di tutte le impiegate dell’azienda. Iniziando dall’ufficio Google di Singapore, ieri in tutto il mondo le donne dell’azienda americana hanno smesso di lavorare e marciato in segno di protesta.
A partecipare alla protesta non solo donne ma anche i loro colleghi si sono mobilitati in segno di protesta. #GoogleWalkout questo l’hashtag utilizzato nei post sui social per dare voce alla marcia dei dipendenti in protesta. Ieri alle 11:10, ora locale di ogni sede, i dipendenti Google in più di venti uffici sparsi nel mondo, hanno interrotto il loro lavoro per partecipare alla marcia di protesta.
La protesta segue l’inchiesta pubblicata circa una settimana fa dal New York Times, riguardo le molestie sessuali all’interno dell’azienda che ha visto coinvolti numerosi dirigenti, tra cui Andy Rubin, considerato il padre di Android. A seguito dell’inchiesta il CEO di Google, Sundar Pichai, aveva inviato una mail ai dipendenti dove confermava che negli ultimi due anni, grazie ad indagini interne, 48 persone, tra cui 13 dirigenti erano state allontanate dall’azienda in seguito ad accuse di molestie. Come ha rivelato il NYT, tra questi figura anche Rubin, il quale sembra abbia ricevuto dall’azienda una buonuscita di 90milioni di dollari, non dovuta secondo i criteri dell’azienda visto le accuse di comportamenti inappropriati. Accuse a cui Rubin ha risposto su Twitter, descrivendole come una campagna infamatoria, durante la sua causa di divorzio.
Queste rivelazioni del NYT hanno sollevato molte polemiche nell’azienda in questa settimana, fino a sfociare nella protesta di ieri, la camminata aveva infatti lo scopo di chiedere dei cambiamenti nelle norme di comportamento aziendale.
I cambiamenti richiesti con la Google Walkout For Real Change vertono principalmente su cinque punti.
Secondo il NYT, oltre a Rubin, sarebbe stato coinvolto nello scandalo anche, Richard DeVaul del laboratorio di ricerca di Alphabet, che si è dimesso martedì. I manifestanti affermano che questa è solo la punta dell’iceberg, e per ogni storia riportata o resa nota ce ne sarebbero “altre migliaia, ad ogni livello della compagnia”.
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