Diverse teorie e studi preliminari sul coronavirus avevano evidenziato il collegamento tra il più alto tasso di insorgenza di sintomi gravi e di mortalità con l’inquinamento atmosferico. Adesso, altri studi più approfonditi svolti in diversi parti del mondo, hanno di nuovo sottolineato questo aspetto. Il tutto spiega la maggior mortalità in alcune aree, tra cui proprio il Nord Italia, zona notoriamente inquinata per motivo ambientali, industriali e demografici.
Le parole del team di ricercatori: “I risultati di questo documento suggeriscono che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico aumenta la vulnerabilità al verificarsi dei più gravi risultati COVID-19. Abbiamo trovato prove statisticamente significative che un aumento di 1 g / m3 nell’esposizione a lungo termine di PM2.5 è associato ad un aumento del 15% del tasso di mortalità COVID-19″.
Un altro studio si è invece concentrato sull’inquinamento da biossido di azoto. “I risultati mostrano che su 4.443 casi di mortalità, 3.487 erano in cinque regioni situate nel nord Italia e nella Spagna centrale. Inoltre, le stesse cinque regioni mostrano le più alte concentrazioni di biossido di azoto combinate con un flusso d’aria verso il basso che impedisce un’efficace dispersione di inquinamento atmosferico.”
Nonostante questi studi abbiano prodotto risultati abbastanza approfonditi, i ricercatori di entrambi gli studi avvertono che c’è bisogno di più dati come quelli legati alle strutture sanitarie. La riduzione di questi livelli di inquinamento a causa delle misure restrittive potrebbe aver a sua volta facilitato l’abbassamento della curva per quanto riguarda i casi più gravi, anche se l’impatto potrebbe essere stato molto piccolo.
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