Nel 2009, gli scienziati dello Stockholm Resilience Center hanno identificato nove punti di non ritorno, che se oltrepassati potrebbero avere conseguenze catastrofiche per la vita sulla Terra. Il primo è la morfologia ambientale: le attività umane stanno rimodellando l’ambiente in modi che non non siamo neppure in grado di controllare, ad esempio per quanto riguarda le condizioni del suolo e le relative conseguenze sulla biodiversità. Nel pieno di una situazione sempre più drammatica, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà a Glasgow nel novembre 2020, sarà di vitale importanza in ottica di contrasto all’inquinamento.
I paesaggi vengono rimodellati dall’agricoltura intensiva, divorando vaste porzioni di terra e assorbendo milioni di litri di acqua ogni giorno. Altro problema è quello dei livelli di anidride carbonica, non solo nell’atmosfera. Circa un quarto della CO2 che emettiamo finisce nell’oceano, disciolta nell’acqua come acido carbonico, che altera la chimica dei mari. Ciò ha reso più difficile per le forme di vita marine preservare i loro gusci ed esoscheletri, nel caso dei crostacei, e ha causato lo sbiancamento di intere barriere coralline.
L’inquinamento dell’aria provocato da automobili e fabbriche invece, ad esempio in città come Pechino, che è tra le metropoli più inquinate al mondo, impedisce alle persone addirittura di uscire fuori di casa in determinati momenti della giornata, riducendo inoltre la visibilità nelle strade quasi a zero. Ma le particelle disperse nell’aria potrebbero anche avere un impatto significativo sul clima, incentivando la formazione di nuvole che impediscono di riflettere nello spazio le radiazioni solari.
Cibo, acqua e le altre risorse naturali stanno diminuendo drasticamente, con conseguenze devastanti sulla biodiversità presente sul nostro pianeta. Gli animali e le piante si stanno estinguendo ad un ritmo mai registrato prima nella storia umana e si stima che oltre la metà delle specie del mondo sia a rischio di estinzione. Si pensa che entro il 2050, mezzo miliardo di persone sarà soggetta a gravissime carenze idriche, come già si sta verificando in città come Città del Capo e Mumbai. Il prosciugamento di fiumi e laghi in Sudafrica sarà un fenomeno sempre più comune, man mano che le temperature globali aumentano.
Quel che è ormai certo, è che il tanto temuto punto di non ritorno si profila all’orizzonte sempre più distintamente. Altra problematica estremamente seria è l’uso smodato di fertilizzanti come azoto e fosforo, elementi questi che hanno un impatto estremamente significativo non solo sull’aria, ma anche sui corsi d’acqua, che fanno registrare una crescita incontrollata di una specie di alga dannosa per l’ecosistema fluviale. Questa è in grado di consumare tutto l’ossigeno disponibile nell’acqua, mettendo a dura prova la sopravvivenza dei pesci e delle altre piante.
Un barlume di speranza, però, potrebbe essere il progressivo restringimento del buco nell’ozono sopra l’Antartide, che infatti sta riducendo sempre più il proprio diametro; è possibile un cambiamento positivo in tal senso. Alla fine degli anni ’80, 46 paesi avevano sottoscritto il protocollo di Montreal per cercare di riparare i danni allo strato di ozono e contestualmente di ridurre la quantità di radiazioni UV dannose che raggiungono la Terra. Tutto ciò potrebbe aver funzionato ed è uno dei pochi confini che l’inquinamento ad opera dell’uomo non è ancora riuscito a superare.
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