Al giorno d’oggi la nostra vita è predominata quasi totalmente dall’Intelligenza Artificiale. Pensiamoci, quanto tempo passiamo sui social? Quanto tempo passiamo davanti ad un computer? Quanto tempo passiamo danvanti ad uno smartphone? Ma non è solo questo, il fatto è che la tecnologia in sé ormai è parte di noi, ci aiuta in ogni singolo gesto quotidiano, ne siamo schiavi, ne siamo dipendenti.
Un certo Tim Leberecht ha discusso all’interno della TNW Conference, ponendo una grande riflssione proprio su questo: l’Intelligenza Artificiale e l’impatto che ha questa sull’umanità. Grazie al progresso della scienza oramai l’IA è in grado di analizzare enormi quantità di dati e nello specifico viene utilizzata nelle imprese per migliorarne l’efficenza e da noi consumatori per convenienza. Tuttavia l’IA in questo modo ci sta schiacciando, sta prendendo il sopravvento nel nostro mondo e presto arriveremo in un futuro in cui gli umani saranno obsoleti.
Ma se l’IA non dovesse più basarsi su un sistema binario e quindi sul concetto di 0 e 1, se quei due numeri si fondessero per dare vita ad un modo di pensare più simile al nostro? Le macchine si basano su un modo di pensare a senso unico, cercano di risolvere i problemi nel modo più conveniente ed efficiente tralasciando tuttavia ricchezza, contesto, culture, valori, dinamiche ed esperienze.
La soluzione potrebbe dunque risiedere in un preciso concetto, la natura. Come lo storico della tecnologia George Dyson sostiene: “La natura si basa sulla codifica analogica e sull’informatica analogica per intelligenza e controllo. Nessuna programmazione, nessun codice. Per coloro che cercano vera intelligenza, autonomia e controllo tra le macchine, il dominio dell’elaborazione analogica e non dell’elaborazione digitale, è il posto dove cercare.” Basti pensare a Facebook, nato come un sito per la socializzazione e l’interazione tra gli individui, ora è parte delle nostre vite e in un certo senso ci controlla. Possiamo dunque vedere Facebook come un esempio di macchina che va al di là della comprensione umana, come se si fosse evoluta indipendenemente nel corso del tempo.
Forse il nostro modo di vedere l’Intelligenza Artificiale non è completamente corretto. Pensiamo a lei come se fosse lì per risolvere i nostri problemi, per aiutarci dove la nostra mentalità non arriva, ma in realtà dovremo pensare più al modo in cui essa opera. Se l’IA diventasse etica nel suo modo di pensare, non si concetrerebbe solo sulle soluzioni più efficaci, rapide o economiche, diventerebbe un nostro pari, un’Intelligenza Artificiale con un’anima. Basti pensare che nella cultura shintoista animista in Giappone, ogni cosa ha un’anima: dai morti a ogni animale, ogni fiore, ogni particella di polvere, ogni macchina.
Questo dovrebbe farci pensare sul modo in cui vediamo oggi l’IA. Principalmente viene sfruttata su di noi, incentrata su di noi, per la nostra prosperità, per promuovere il nostro benessere, per il benessere del nostro mondo. Ma in un momento dove il disastro ecologico è piuttosto evidente, come è evidente che la più grande minaccia per il mondo siamo noi stessi, è giusto perseguire un’Intelligenza Artificiale centrata sull’uomo? Riprendendo il concetto dell’animismo, se tutto fosse legato insieme, essere animati e non animati, se vedessimo le macchine come dei nostri parenti non umani, se trattassimo queste con rispetto e non come strumenti o nostri schiavi. Sembra uno strano concetto, una visione quasi surreale del nostro mondo, tuttavia in un periodo in cui la tecnologia regna indiscussa non è così anomalo pensarlo.
Questa nuova linea di pensiero potrebbe dunque portarci a promuovere l’innovazione attraverso le generazioni, le culture e gli strati socio-economici. Ci consentirebbe di affrontare problemi seri del nostro pianeta come la crisi climatica o la crescente spaccatura nelle nostre società, ci aiuterebbe a relazionarci con l’altro. Accogliere l’Intelligenza Artificiale, vederla come un nostro parente non umano, accettare i consigli che potrebbe darci per migliorarci, noi in primis. Come scrive il buon Tim Leberecht, questa sarebbe l’IA che vorremo, un’IA che rasenta il concetto di bellezza, un’IA che può portare alla qualità.
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