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Ipertensione, ecco il meccanismo molecolare dei farmaci botanici usati

Le erbe comuni, tra cui lavanda, finocchio e camomilla, hanno una lunga storia di utilizzo come medicinali popolari usati per abbassare la pressione sanguigna e quindi l’ipertensione. In un nuovo studio, University of California, i ricercatori di Irvine spiegano i meccanismi molecolari che li fanno funzionare. Pubblicato oggi su Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS), lo studio illustra quante delle piante botaniche tradizionali conosciute utilizzate per abbassare la pressione sanguigna attivano un canale specifico di potassio (KCNQ5) nei vasi sanguigni. KCNQ5, insieme ad altri canali di potassio tra cui KCNQ1 e KCNQ4, è espresso nella muscolatura liscia vascolare. Quando attivato, KCNQ5 rilassa i vasi sanguigni, rendendolo un meccanismo logico per almeno una parte delle azioni ipotensive di alcune medicine botaniche popolari.

“Abbiamo scoperto che l’attivazione di KCNQ5 è un meccanismo molecolare unificante condiviso da una vasta gamma di medicinali popolari ipotensivi botanici. La lavandula angustifolia, comunemente chiamata lavanda, era tra quelle che abbiamo studiato. Abbiamo scoperto che è tra i più efficaci attivatori del canale di potassio KCNQ5, insieme con estratto di semi di finocchio e camomilla”, ha affermato Geoff Abbott, Ph.D., professore di fisiologia e biofisica presso la UCI School of Medicine e ricercatore senior nello studio.

 

I farmaci botanici contro l’ipertensione

È interessante notare che la funzionalità di attivazione del canale di potassio selettivo KCNQ5 presente nei prodotti botanici è carente nella moderna farmacopea sintetica. Fino ad ora, sembra aver eluso i metodi di screening convenzionali che utilizzano librerie chimiche, il che potrebbe spiegare perché non è una caratteristica riconosciuta dei farmaci sintetici per la pressione sanguigna.

“La nostra scoperta di questi apritori di canali di potassio selettivi per KCNQ5 può consentire lo sviluppo di future terapie mirate per malattie tra cui ipertensione ed encefalopatia con perdita di funzione di KCNQ5”, ha affermato Abbott.

L’uso documentato di medicine popolari botaniche risale alla storia umana. Esistono prove del DNA, risalenti a 48.000 anni fa, che suggeriscono il consumo di piante per uso medicinale da parte dell’Homo neanderthalensis. Le prove archeologiche, risalenti a 800.000 anni fa, suggeriscono persino un uso non alimentare delle piante da parte dell’Homo erectus o di specie simili. Oggi, l’evidenza dell’efficacia delle medicine popolari botaniche varia da studi aneddotici a studi clinici, tuttavia i meccanismi molecolari sottostanti rimangono spesso sfuggenti.

Francesco Borea

Studente universitario Appassionato di tecnologia

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