Sull’isola di Kilwa Kisiwani, a più di un chilometro e mezzo dalla costa della moderna Tanzania, si stagliano antiche e maestose rovine. I resti appartengono ad un palazzo e ad una grande moschea, costruiti principalmente in pietra corallina, e sono testimonianze del periodo più florido del commercio dell’oro dell’Africa orientale, che passava per questa piccola isola. Durante il suo periodo di massimo splendore, durante il Medioevo, Kilwa era il porto principale per diverse città costiere che si stanziarono lungo quella che divenne nota come “costa swahili“. Il termine “swahili” deriva infatti da una parola araba che significa “abitante costiero” e divenne il nome della lingua della regione.
Gli abitanti locali, discendenti del popolo bantu, fondevano la loro lingua madre con parole “adottate” dal persiano e dall’arabo. Le usanze arabe e persiane si riflettono infatti visibilmente anche sull’architettura, sull’arte sulla religione della cultura swahili. Tutti questi settori mostrano evidenti impronte riconducibili a questi popoli. Le relazioni tra la costa swahili e il mondo islamico avrebbero poi avuto un ruolo importante nelle mire colonialiste europee del XIX secolo, che puntavano a siti come Kilwa. Convinti dell'”inferiorità” degli africani, studiosi europei come l’esploratore britannico Richard Burton, che visitò Kilwa nel 1859, credevano che la cultura africana indigena fosse incapace di sviluppare città in pietra.
Kilwa, affermava, doveva essere stata opera di estranei. Recenti scoperte archeologiche hanno dimostrato che la realtà è ben più complessa. Kilwa e altre città commerciali della costa swahili sono nate da un complesso mix di influenze, a partire da una solida base della tradizione locale dell’Africa orientale. Il primo scavo archeologico significativo a Kilwa durò dal 1958 al 1965 e fu diretto dall’archeologo britannico Neville Chittick, che rivelò una storia che capovolse la teoria colonialista summenzionata. Chittick ha concluso che la maggioranza della popolazione di Kilwa era africana, affermando di aver rinvenuto prove che suggeriscono che i governanti dell’isola provenissero proprio da quelle terre.
Per datare le varie fasi della storia di Kilwa, Chittick ha fatto molto affidamento sul Kilwa Chronicle, una genealogia medievale stilata dai re della città-stato. Questo testo, insieme alla cosiddetta “cultura materiale” rinvenuta nel sito come monete, ceramiche e altri manufatti, ha permesso a Chittick e agli studiosi successivi di ricostruire la ricca e complessa storia di Kilwa. L’isola fu colonizzata già nel IV secolo: nell’ottavo secolo la cultura swahili iniziò a prendere forma e unificò le coste africane dalla Somalia al Mozambico.
Tuttavia, quando i commercianti musulmani iniziarono ad entrare e uscire dalla regione, l’Islam iniziò a prendere piede. La prima moschea di Kilwa è stata datata intorno all’800 d.C. L’ascesa al potere di Kilwa è iniziata con la fondazione dell’omonimo sultanato; il fondatore dinastico era, secondo il Kilwa Chronicle, un avventuriero dell’XI secolo, Ali ibn al-Hassan Shirazi, il cui nome suggerisce che provenisse da Shiraz, in Persia. In linea con il punto di vista di Chittick, gli storici credono che sia probabilmente nato in una famiglia africana che aveva radici persiane. Sotto Ali e gli Shirazi, Kilwa iniziò a rivaleggiare con il principale centro commerciale di Mogadiscio, sito molto più a nord. Arricchitisi grazie al commercio di avorio e di gusci di tartaruga, i governanti di Kilwa iniziarono a considerare la merce più redditizia di tutte: l’oro.
Uscendo dall’interno dell’Africa meridionale, l’oro veniva tradizionalmente scambiato dal porto di Sofala, nell’odierno Mozambico. A partire dal dominio degli Shirazi, Kilwa iniziò ad estendere la sua influenza per controllare Sofala come suo avamposto meridionale e alla fine del 1200, un’altra dinastia afro-araba, i Mahdali, “rilevò” il sultanato di Kilwa. Il consolidamento del potere economico continuò fino a quando l’intero commercio dell’oro dell’Africa orientale passò sotto il controllo di Kilwa. I dhow, velieri caratteristici dell’Africa orientale, salparono da Kilwa e Sofala carichi di oro, grano, legno e avorio e navigarono attraverso l’Oceano Indiano verso l’India e la Cina.
La crescente dipendenza dell’Europa dall’oro generò quindi una decisa impennata della domanda di oro swahili. In cambio, Kilwa importava cotone, ceramica, porcellana cinese e seta. Man mano che si arricchiva, la città iniziò a coniare anche proprie monete. Intorno alla città sorsero strutture elaborate, costruite utilizzando la caratteristica pietra corallina dell’isola. Raccolto dalle barriere coralline locali durante la bassa marea, il corallo veniva lavorato in blocchi mentre era ancora morbido e poi cementato insieme alla malta. Le pareti interne furono levigate, intonacate e talvolta decorate con frammenti colorati incorporati di ceramica smaltata o porcellana cinese, che hanno aiutato gli archeologi a datarli.
La grande moschea, invece, iniziata nell’XI secolo, fu ampliata e abbellita nel periodo tra il XII e il XV secolo. Il vasto palazzo di Husuni Kubwa combinava i ruoli di fortezza, castello e magazzino. Le caratteristiche architettoniche del palazzo ricordano l’Iraq abbaside, uno splendore cosmopolita che ha profondamente colpito gli esploratori. I resoconti storici suggeriscono che l’esploratore navale cinese Zheng He si spinse nel sultanato di Kilwa e sulla costa swahili tra il 1405 e il 1433, durante i suoi famosi Sette viaggi. Il viaggiatore musulmano del XIV secolo Ibn Battuta visitò Kilwa, la descrisse come “una delle città più belle del mondo”.
All’inizio del XVI secolo, il Portogallo cercò di colonizzare le preziose regioni lungo la costa swahili. Nel 1505 Francisco de Almeida occupò Kilwa, ponendo fine al sultanato e negli anni che seguirono, il Portogallo conquistò aree dell’Africa orientale e dell’India occidentale per controllare le redditizie rotte commerciali dell’Oceano Indiano. Nella loro nuova colonia di Kilwa costruirono il Gereza, un forte militare per proteggere il porto; una delle torri è peraltro ancora in piedi. All’inizio del 1700 le colonie portoghesi furono a loro volta invase dal sultanato dell’Oman, che occupò rapidamente la costa dell’Africa orientale, anche se ciò non fu sufficiente per riportare Kilwa al suo antico splendore: la città fu abbandonata a metà del XIX secolo, ma l’interesse archeologico ne ha rinnovato l’interesse, tant’è vero che le rovine di Kilwa sono state dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1981.
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