I primi sintomi della malattia di Huntington, una patologia ereditaria che deteriora lentamente l’organismo ma danneggia seriamente anche il sistema nervoso, in genere non affiorano prima della mezza età. Ma nuove ricerche suggeriscono che alcune regioni del cervello potrebbero non funzionare già diverso tempo prima dell’insorgere dei sintomi. Utilizzando le nuove tecnologie, gli scienziati della Rockefeller University sono stati in grado di risalire alle cause della malattia fino nei suoi primi stadi di sviluppo, quando il cervello ha appena iniziato a formarsi.
Sviluppato nel laboratorio del dottor Ali Brivanlou, il sistema utilizza neuroloidi, ossia minuscole colture di tessuti tridimensionali che fungono da modelli per interi organi. I ricercatori creano questi gruppi cellulari partendo da cellule staminali embrionali umane e li manipolano in laboratorio per studiare come questo tipo di malattie nascano. Precedenti studi hanno provato che la malattia si manifesta nei neuroni più giovani; ma quest’ultimo studio ne riconduce l’insorgenza ancor prima, durante un processo chiamato “neurulazione“.
Quando i ricercatori hanno introdotto nei neuroloidi una mutazione capace di causare lo sviluppo della malattia di Huntington, hanno intenzionalmente causato effetti drammatici sulle strutture tissutali, inducendo una modificazione delle stesse. “Abbiamo indotto un vero e proprio crollo della struttura cellulare del cervello“, dice Brivanlou. I ricercatori hanno iniziato ad utilizzare questo tipo di tecnologia per lo screening di farmaci in grado di prevenire queste anomalie, un approccio che sperano possa costituire una valida alternativa ai metodi contemporanei.
“Questa tecnologia apre davvero le porte all’identificazione di tutti quei meccanismi che determinano lo sviluppo del cervello, inclusa la comprensione di come questi meccanismi vengano stravolti quando si verificano particolari malattie, come quella di Huntington, nonchè alla sperimentazione di farmaci che possano riportare su valori accettabili la situazione clinica dell’organo cerebrale“, afferma con convinzione Brivanlou.
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