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La NASA potrebbe aver involontariamente eliminato la vita su Marte negli anni ’70

Una nuova teoria proposta dall’astrobiologo Dirk Schulze-Makuch mette in discussione il metodo utilizzato dalla NASA nelle missioni Viking degli anni ’70 per cercare la vita su Marte. Secondo Schulze-Makuch, l’introduzione di acqua liquida terrestre nelle analisi del suolo marziano potrebbe aver avuto un impatto letale su eventuali forme di vita adattate all’ambiente secco del pianeta.

Le condizioni uniche di Marte

  • Ambiente estremamente arido: Marte è incredibilmente secco rispetto alla Terra, e qualsiasi forma di vita nativa si sarebbe evoluta per sopravvivere in queste condizioni.
  • Introduzione di acqua terrestre: Durante gli esperimenti Viking, la NASA ha inumidito campioni di suolo marziano con acqua, ipotizzando che avrebbe supportato la vita, seguendo il modello terrestre.

Schulze-Makuch suggerisce che questo approccio potrebbe aver “affogato” potenziali microbi marziani, non adattati a livelli di umidità così elevati.

Un metodo alternativo: l’uso del sale

L’astrobiologo propone che una strategia migliore sarebbe stata testare con i sali, simili a quelli usati dai microbi nel deserto di Atacama, uno dei luoghi più aridi sulla Terra.

  • Ruolo del sale: I sali possono assorbire e trattenere tracce d’acqua, creando microhabitat più adatti alla sopravvivenza di organismi in condizioni estremamente aride.
  • Parallelo terrestre: Nel deserto di Atacama, i microbi sopravvivono grazie al sale, che agisce come un serbatoio d’acqua in ambienti ostili.

Implicazioni per future missioni

Questa teoria suggerisce che la ricerca di vita su Marte dovrebbe considerare l’unicità del suo ambiente:

  1. Tecniche meno invasive: Evitare di introdurre condizioni non naturali, come acqua liquida in eccesso.
  2. Focus sui sali: Testare il suolo marziano per tracce di interazione con sali e umidità.
  3. Riconoscere le differenze planetarie: Non dare per scontato che i requisiti per la vita terrestre siano applicabili universalmente.

Mentre questa teoria rimane ipotetica, evidenzia la complessità di cercare vita in ambienti extraterrestri. Le missioni future potrebbero trarre insegnamenti dai possibili errori passati, adottando approcci più rispettosi delle condizioni locali per preservare e identificare potenziali forme di vita aliene.

L’articolo originale è stato pubblicato su Nature, e queste nuove prospettive aprono una discussione cruciale sull’importanza della cautela nelle esplorazioni planetarie.

Foto di Vicky Vale su Unsplash

Federica Vitale

Ho studiato Shakespeare all'Università e mi ritrovo a scrivere di tecnologia, smartphone, robot e accessori hi-tech da anni! La SEO? Per me è maschile, ma la rispetto ugualmente. Quando si suol dire "Sappiamo ciò che siamo ma non quello che potremmo essere" (Amleto, l'atto indovinatelo voi!)

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