Ogni scoperta, ogni studio effettuato è un ulteriore passo nella lotta contro il COVID-19. E questa volta, a giocare un ruolo fondamentale in questa battaglia è stato uno studio brasiliano che – tra i tanti al proposito – associa la carenza di vitamina D (o colecalciferolo) nell’organismo ai casi gravi di COVID-19.
Lo studio, che coinvolge solo pazienti anziani, è nelle mani del medico nutrologo Thiago José Martins Gonçalves, membro del consiglio della Società brasiliana di nutrizione parenterale ed enterale, il quale sottolinea che il 94% dei pazienti intubati a causa del nuovo coronavirus aveva degli indici di basso contenuto di vitamina D.
Pubblicato sulla rivista Clinical Nutrition, della European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (Espen), lo studio in questione ha esaminato 176 pazienti con un’età media di 72 anni. Secondo i ricercatori, mantenere livelli adeguati di vitamina D diventa davvero importante in questo momento di pandemia.
La carenza di vitamina D è molto comune ed è ancora oggetto di diversi studi. Si attiva quando la pelle è esposta al sole, ma può essere acquisita anche attraverso il cibo. L’integrazione è possibile, ma le associazioni mediche lo consigliano solo a persone con condizioni specifiche – anziani sopra i 60 anni, donne in gravidanza e in allattamento, persone con le cosiddette malattie osteometaboliche, come il rachitismo.
A settembre, i ricercatori della Boston University School of Medicine hanno condotto studi statunitensi che valutavano l’interferenza della vitamina D nei casi di COVID-19. La ricerca ha raccolto campioni di sangue da 235 pazienti ricoverati in ospedali cui era stato diagnosticato il COVID-19. Da lì, hanno misurato i livelli di vitamina D e li hanno associati alla gravità dell’infezione, perdita di coscienza e difficoltà respiratorie.
Lo studio sottolinea, in questo caso, che i pazienti con più di 40 anni che avevano livelli sufficienti di vitamina D avevano il 51% in meno di probabilità di morire per l’infezione causata dal coronavirus.
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