Alcuni ricercatori australiani hanno ideato un robot subaqueo progettato per salvare la barriera corallina. Si chiama Larvalbot e si tratta di una sorta di drone in grado di rilasciare piccole larve di coralli, quando si muove in prossimità del fondale marino. La speranza è che queste piccole larve possano ripopolare i coralli distrutti dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento. Larvalbot potrebbe essere la risposta alla costante battaglia per salvaguardare il prezioso habitat della barriera corallina.
Tra il 2016 ed il 2017, a causa del riscaldamento e dell’acidificazione delle acque, quasi la metà dei coralli della Grande Barriera Corallina australiana sono morti, provocando il tanto noto quanto triste fenomeno dello sbiancamento della barriera corallina.
Secondo Peter Harrison, responsabile del progetto per il recupero della barriera corallina e ricercatore del Marine Ecology Research Center della Southern Cross University, negli ultimi anni non si è riusciti a fornire abbastanza larve per poter procedere al ripristino delle popolazioni di coralli. Lo sbiancamento è infatti progredito in maniera troppo veloce rispetto agli interventi di recupero.
Con il Larvalbot, un robot subaqueo di piccole dimensioni, si potrebbero finalmente ottenere dei risultati migliori. Larvalbot è progettato per muoversi in maniera indipendente lungo le porzioni danneggiate della barriera corallina, mentre le cosparge con innumerevoli piccole larve di corallo.
Harrison ha affermato che lo scopo del Larvalbot “è quella di utilizzare una tecnica automatizzata che ci consenta di indirizzare la deposizione delle larve nei punti danneggiati del reef e aumentare l’efficienza in modo da poter far nascere nuove comunità di corallo”.
La squadra di Harrison ha testato il piccolo robot subacqueo sul Vlasoff Reef. Si tratta di un reef situato al bordo esterno della Grande Barriera Corallina, lungo la costa nord-orientale dell’Australia.
Durante questo test, il Larvalbot ha rilasciato circa 100 mila piccole larve, ottenute da coralli sopravvissuti allo sbiancamento del biennio 2016/2017, quindi più resistenti alle acque più calde.
Ora bisognerà attendere almeno 6/9 mesi per verificare l’effettiva formazione di nuovi coralli dalle larve rilasciate dal Larvalbot. In questo lasso di tempo, i ricercatori terranno sotto controllo il Vlasoff Reef, per registrare ogni eventuale miglioramento.
Nel frattempo Harrison spera di poter creare una piccola flotta di questi “droni subacquei”, così da poter accelerare il processo di risanamento della barriera corallina, non solo in Australia, ma in tutto il mondo. Il team di Harrison, sta infatti progettando di eseguire dei test anche nelle Filippine.
Mark Eakin, direttore del programma National Oceanic e Atmospheric Administration di Coral Reef Watch, ha ritenuto il progetto di Harrison “un’eccellente idea”. Ma come ha giustamente fatto notare, il problema principale rimane il cambiamento climatico. È importante trovare un modo per recuperare ciò che è stato perso, ma se non affronteremo il problema del cambiamento climatico, ci saranno nuove e continue perdite. Come ha affermato lo stesso Eakin: “Anche se questa tecnologia verrà ampliata, se non affronteremo i cambiamenti climatici, non sarà sufficiente”.
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