Le armi dell’Esercito di Terracotta si sono conservate, giungendo fino a noi, quasi per caso, grazie alla prima tecnologia antiruggine applicata involontariamente. Questo è ciò che hanno dedotto gli archeologi grazie ad una nuova analisi della composizione chimica della vernice con cui erano state dipinte le armi.
Gli archeologi erano giunti alla conclusione che le armi in bronzo fossero state cromate dagli artigiani che le costruirono nel terzo secolo a. C.; dato lo stato di conservazione che presentavano quando furono scoperte nel 1974 e la scoperta nelle vicinanze di cromo. Questa conclusione aveva suggerito che i cinesi avessero scoperto la tecnica della cromatura due mila anni prima di quando fu scoperta in Europa.
Secondo una nuova analisi della University College di Londra (UCL) il cromo trovato sulle armi, sarebbe stato applicato involontariamente, in quanto contenuto nella vernice decorativa applicata sulle aste di legno delle armi.
Come dichiarato da Marcos Martinón-Torres, autore principale dello studio ed archeologo dell’Università di Cambridge e precedentemente della UCL, la maggior parte dei guerrieri e dei residui organici del mausoleo, erano stati rivestiti con dei protettivi prima di essere dipinti, ma non le armi. La più alta concentrazione di cromo è stata rilevata sulle parti in bronzo delle armi, le quali erano attaccate a delle parti in legno e bambù, ormai andate perdute, che costituivano i manici e le impugnature delle armi. Il cromo era dunque contenuto nella vernice decorativa applicata sul bronzo e la cromatura è stata quindi un “effetto collaterale” involontario della decorazione delle armi.
L’Esercito di Terracotta fu posto a difesa del mausoleo del primo imperatore cinese, Qin Shihuang, che si trova a Xi’an. È composto da migliaia di guerrieri in ceramica a grandezza naturale, divise in tre file poste all’interno di tre grandi fosse. Ogni guerriero era equipaggiato con le proprie armi, delle riproduzione perfettamente funzionanti. Sono state recuperate lance, spade, alabarde e ben 40 mila punte di freccia.
Sin dai primi scavi degli anni ’70, i ricercatori pensarono che, la straordinaria conservazione delle armi, fosse dovuta ad una tecnica di conservazione del metallo conosciuta in Cina nel terzo secolo a. C.. Ma ora gli archeologi sono più propensi a credere che la conservazione sia stata aiutata dal pH leggermente alcalino e dal basso contenuto organico del terreno circostante. Secondo il dott. Xiuzhen Li, dell’Istituto di Archeologia dell’UCL e del Museo dell’Esercito di Terracotta, i preziosi reperti sarebbero giunti a noi con superfici lucenti e quasi incontaminate, grazie ad una combinazione di questi eventi. Ma i ricercatori non escludono comunque del tutto la possibilità che gli artigiani dell’epoca fossero a conoscenza di una particolare tecnica di conservazione del metallo andata perduta.
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