Per la maggior parte di noi, i coloratissimi paesaggi marini formati dalle barriere coralline sono remoti e misteriosi quanto i paesaggi alieni della luna. Raramente, se non mai, abbiamo occasione di vivere e osservare queste meraviglie sottomarine; è facile, quindi, non notare lo stato di pericolo in cui si trovano.
Negli ultimi 20 anni abbiamo perso il 50% delle formazioni coralline e, secondo una presentazione svoltasi all’Ocean Sciences Meeting di San Diego, più del 90% delle rimanenti dovrebbe morire entro il 2050. Man mano che gli oceani si riscaldano ulteriormente e diventano più acidi, a causa dell’aumento delle emissioni di anidride carbonica, queste importantissime formazioni rischiano di essere i primi ecosistemi al mondo a estinguersi a causa dell’uomo.
Questi straordinari microcosmi sono antichi e altamente adattabili; apparsi per la prima volta quasi 500 milioni di anni fa, si sono poi estinti, e i coralli attualmente presenti ne hanno preso il posto 240 milioni di anni fa. La differenza sta nel ritmo estremo dei cambiamenti avvenuti. Il corallo è caratterizzato da una crescita lenta e una barriera corallina impiega circa 10 anni per riprendersi completamente dopo un singolo episodio di sbiancamento. Per il 2049 si prevedono episodi annuali di sbiancamento ai Tropici, che porteranno la barriera corallina a uno stadio irrecuperabile. È una prospettiva triste, ed è uno dei motivi per cui, nel 2015, le nazioni di tutto il mondo si sono impegnate a limitare il riscaldamento globale a un massimo di 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali.
Tuttavia, c’è ancora speranza di salvarle. Alcune reagiranno meglio di altre e gli scienziati sono al lavoro per capire il perché. Naturalmente, questo sforzo deve necessariamente coinvolgere l’uomo, che deve impegnarsi attivamente per non sterminarle. Per esempio, gli studi dimostrano che i coralli hanno maggiori probabilità di riprendersi da un episodio di riscaldamento se sono protette da altri stress, come la pesca eccessiva, l’inquinamento dovuto all’agricoltura e i danni arrecati dalle imbarcazioni.
Si spera che costruendo la resilienza, le barriere coralline e le comunità che da esse dipendono possano adattarsi e sopravvivere se il clima si stabilizza. E, se dovesse accadere il peggio, questo dovrebbe aiutare le persone ad abituarsi a vivere senza la barriera corallina. Diverse associazioni stanno portando avanti iniziative in tal senso. L’Unesco, ad esempio, sta portando avanti un’iniziativa simile, incentrata sulle comunità, chiamata Resilient Reefs, dopo aver scoperto il degrado di 21 dei 29 siti della barriera corallina dichiarati Patrimonio dell’Umanità.
Ph. credits: Foto di Free-Photos da Pixabay
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