La letteratura ergodica sembra richiamare qualcosa di sinistro e proibito. Come il riferirsi a vecchi libri ergodici con copertine di pelle, che nascondono in se stessi oscuri segreti o enigmi. È una letteratura troppo simile a Lovecraft. Ma vale la pena osservare più da vicino questi libri per scoprire che non c’è nulla di spaventoso in essi (tranne il nome, ovviamente). Attraverso di essi, ci immergiamo in un mondo il cui testo è raggomitolato in modo che lo si ami e lo si odi allo stesso tempo.
Il concetto è complesso così come i suoi rappresentanti. Infatti, tutti i libri in cui il lettore è attivamente coinvolto nella composizione del testo appartengono a un ergodico. L’intera storia dipende letteralmente dall’ordine in cui leggi una storia. Narrazione non lineare, alcuni finali, l’opportunità di scegliere l’ulteriore sviluppo della trama. Sembra allettante.
Il termine stesso è apparso nel 1997 ed è uscito dalla penna di Espen J. Orset, professore all’Università di Copenaghen. Orset cerca di capire cosa rende il testo “ergodico” e combina giocosamente in un termine greco ergon (lavoro) e hodos (modo). Cioè, è già chiaro da questo: leggere non sarà facile.
Allora cosa rende il libro ergodico? Stranamente, non tanto il contenuto quanto la sua incarnazione sulle pagine del libro. Lo stesso Orset scrive quanto segue: “… ci vuole uno sforzo non banale da parte del lettore per leggere un libro. Se la letteratura ergodica ha un senso come concetto, ci deve essere letteratura non urbana in cui il tentativo di passare attraverso il testo è banale e il lettore non è soggetto ad alcun obbligo, eccetto (ad esempio) il movimento degli occhi e il periodico o arbitrario cambio di pagina” [“Cybertext: Perspectives on Ergodic Literature“]
Tutto si riduce alla corrispondenza del libro con i formati generalmente accettati di paragrafi, campi di dialogo e layout in generale. Il formato convenzionale rende il processo di lettura leggero, discreto e “banale”, come lo chiama Orset. Tutto ciò di cui hai bisogno per leggere il libro è guidare metodicamente i tuoi occhi nelle stesse righe e talvolta voltare pagina. Sembra semplice e aiuta a concentrarsi sulla trama. Ma se stai affrontando la letteratura ergodica, probabilmente non stai cercando modi facili.
Riassumiamo: qualsiasi libro che sfogli senza dolore agli occhi e al cuore è non ergodico. Ogni libro che si legge così tanto da deliziare il tuo esteta interiore è ergodico.
Affatto. La prima letteratura ergodica è considerata il cinese “I-Jing“, scritto intorno al 700 a.C. Uno dei primi testi filosofici era già ergodico. Sta tutto nella sua struttura insolita: il libro era pensato per la divinazione, quindi era composto da 64 esagrammi, ognuno dei quali esprime una particolare situazione di vita nel tempo in termini di sviluppo graduale. Ogni esagramma è composto da altri sei tratti: le fasi della situazione. In generale, è difficile, non lineare, non standard.
“Il gioco dei classici” di Julio Cortazar è un vivido esempio di letteratura ergodica. Sotto la copertina in realtà si nascondono due libri invece di uno, ma trovare il secondo non è così facile. Con la prima lettura tutto è semplice: si legge con il metodo abituale, si conclude con il 56esimo capitolo, sotto l’ultima riga del quale c’è la scritta completamente monovalore “fine”. Il secondo libro fluttua dal 73esimo capitolo – e alla fine di ciascuno è indicato il numero di quanto segue. Romanzo nel romanzo, testo nel cubo, vera ricerca passo-passo dalla pace della letteratura.
Un altro esempio è il “Dizionario Khazar” di Milorad Povich . Anche senza l’argomento specifico, questo libro porta avanti la sua possibilità di esaminare l’insieme dei racconti da tre diversi lati, di selezionare per sé un sottotema interessante, di seguirlo per l’allungamento dell’intero libro – e così all’infinito. Il “Dizionario Khazar” ha una versione femminile e maschile.
I libri ergodici non fanno paura. Se, ovviamente, l’autore stesso non ha tentato di spaventarti. Mark Danilevskiy, per esempio, ci ha provato e ci è riuscito in modo più che eccellente. A proposito del suo libro “La casa delle foglie”, nel contesto della letteratura ergodica, tacere sarebbe un crimine. Vale la pena leggere “La casa delle foglie” almeno per la splendida sensazione di improvviso spavento nel voltare le pagine.
Non è il caso di mettere da parte un libro con un’impostazione non comune, paragrafi strani e una struttura fuori standard. Eccezionale possibilità di sostituire il consueto angolo di visione e di aprirsi qualcosa di nuovo, ad esempio l’amore per la letteratura ergodica. Anche se questo amore, a volte, agisce dolorosamente.
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