Questa è l’Arsia Mons Elongated Cloud (AMEC), una nuvola lunga ben 1770 chilometri sulla superficie di Marte. La particolarità di questa formazione nuvolosa è che ritorna ogni primavera e si forma ogni mattina tra le 5:40 e le 8:30, ora marziana, intorno al solstizio d’estate meridionale, quando le nuvole sono generalmente rare vicino all’equatore marziano.
Questa nuvola così puntuale, deve il suo nome al fatto che si forma a partire dall’Arsia Mons, il più meridionale dei tre grandi vulcani dell’altopiano di Tharsis su Marte, una vetta che sale a circa 17 chilometri sopra la superficie marziana. I venti che colpiscono tali montagne creano correnti ascensionali alla loro base e l’acqua intrappolata in quelle correnti ascensionali si congela ad altitudini più elevate e forma le nuvole.
Il ricercatore dell’Università dei Paesi Baschi, Jorge Hernández-Bernal, assieme ai suoi colleghi hanno cercato di capire quale fosse il meccanismo di formazione dell’AMEC e il motivo per cui torna ogni alba di primavera.
Per riuscirci hanno utilizzato il Mars Mesoscale Model un modello che applica a Marte le equazioni primitive della meteorologia, che descrivono il moto dell’aria nelle atmosfere planetarie sottili, e incorpora fenomeni microfisici radiativi e nuvolosi, ovvero dei processi importanti su Marte. Utilizzando questo modello, il team di ricercatori ha riprodotto l’AMEC e analizzato i dati ottenuti.
Hernández-Bernal e colleghi hanno scoperto che l’AMEC è formato da onde gravitazionali generate dai forti venti che colpiscono l’Arsia Mons, che in questo periodo sono più forti rispetto al resto dell’anno e soffiano a circa 290 km/h, e comprimono temporaneamente l’aria che passa.
L’aria quindi oscilla, creando correnti ascensionali con velocità del vento fino a 72 km/h, che raffreddano l’atmosfera di oltre 12 °C, consentendo all’acqua, a circa 45 chilometri sopra la superficie di Marte, di congelare. In questo periodo sul Pianeta Rosso le concentrazioni d’acqua sono più alte, poiché le temperature sono più alte.
Hernández-Bernal e colleghi hanno dunque ipotizzato che il ghiaccio risultante, e l’aria fredda ad esso associata, vengano poi spinti verso ovest dai forti venti. Questa è dunque l’ipotesi dei ricercatori, anche se nel loro modello la lunga coda dell’AMEC non era presente, forse per l’assenza di veri e propri nuclei di ghiaccio.
La loro ricerca dimostra comunque la validità del modello utilizzato nel trovare una spiegazione al ritorno annuale dell’AMEC e alla sua formazione. Ma la ricerca rende anche chiaro che per conoscere meglio Marte ed il suo clima, dobbiamo necessariamente migliorare la microfisica nei modelli del Pianeta Rosso.
Immagine di copertina: Ph. Credit: ESA/DLR/FU Berlino
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