Che nell’oceano ci siano isole di plastica più grandi di città intere non è una sorpresa e per quanto il panorama sia ben lontano dall’essere idilliaco, il problema è un altro. Si è vero i grossi pezzi di plastica possono essere un problema per animali più grossi come volatili, delfini, tartarughe e quant’altro, ma le microplastiche possono risultare parecchio pericolose anche per noi.
Tale materiale non è biodegradabile, ma si può sfaldare e quando succede si creano pezzi piccolissimi che possono anzi, che vengono ingeriti dalla fauna ittica. Quest’ultima poi spesso e volentieri viene pescata per essere venduta e mangiata e di conseguenza finisce sulle nostre tavole. Uno nuovo studio in merito ha cercato di quantificare quanta di questa spazzatura viene effettivamente assorbita dai pesci e il risultato è preoccupante.
L’esperimento è stato fatto controllando delle capesante esposte alle microplastiche da parte di alcuni ricercatori dell’Università di Plymouth. La scoperta fatta è che appena in 6 ore di esposizione, tali creature avevano assorbito nel proprio intestino miliardi di particelle che tradotto in un valore più comprensibile erano 250 nm o 0,00025 mm. Altri particelle sono state trovate nelle branchie degli animali e in questo caro erano 20 nm.
Dopo avere scoperto questo i ricercatori hanno anche provato a vedere in quanto tempo le capesante si sarebbero ripulite in acqua pulita e il risultato è stato sei settimane. Ecco una dichiarazione del professor Richard Thompson: “Abbiamo solo esposto le capesante alle nanoparticelle per alcune ore e, nonostante siano state trasferite in condizioni di pulizia, le tracce erano ancora presenti diverse settimane dopo. Comprendere le dinamiche di assorbimento e rilascio delle nanoparticelle, così come la loro distribuzione nei tessuti corporei, è essenziale se vogliamo comprendere qualsiasi potenziale effetto sugli organismi“.
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