Foto di Tracy Lundgren da Pixabay
In un mondo dove la medicina ha fatto passi da gigante, esistono ancora patologie poco conosciute che colpiscono silenziosamente e con grande impatto chi ne soffre. Una di queste è una rara malattia neurologica che provoca movimenti involontari, spesso violenti, e può portare a forme gravi di autolesionismo involontario. Una condizione tanto sconosciuta quanto drammatica, che merita attenzione e ricerca.
Questa malattia, ossia la sindrome di Lesch-Nyhan, che rientra nel gruppo dei disordini del movimento, si manifesta con spasmi muscolari incontrollabili, tic improvvisi e comportamenti motori violenti, che la persona non può prevedere né fermare. In molti casi, i pazienti si colpiscono da soli, si graffiano, si mordono o si procurano lesioni nel tentativo — del tutto involontario — di “scaricare” l’attività anomala del sistema nervoso centrale.
Sebbene possa ricordare per certi versi la sindrome di Tourette o la Corea di Huntington, questa condizione presenta tratti distintivi, come l’intensità degli episodi e la tendenza a forme di autolesionismo severo. Spesso inizia nell’infanzia o nell’adolescenza, ma può manifestarsi anche in età adulta. La diagnosi è complessa e richiede l’intervento di specialisti neurologi, genetisti e psichiatri.
Nonostante la sua gravità, la malattia resta poco conosciuta anche tra gli operatori sanitari. Molti pazienti vivono anni senza una diagnosi corretta, spesso trattati per disturbi psichiatrici o comportamentali, con terapie inefficaci e stigma sociale. L’incomprensione può isolare i malati, aggravando il loro stato psicologico e relazionale.
Le cause di questa condizione sono ancora oggetto di studio. Alcuni casi sono collegati a mutazioni genetiche rare che alterano la trasmissione dei segnali nervosi. Altri sembrano derivare da anomalie acquisite nel sistema nervoso centrale, magari in seguito a infezioni virali, traumi cerebrali o intossicazioni. La varietà delle cause rende ancora più difficile trovare un trattamento univoco.
Al momento, non esiste una cura definitiva. Tuttavia, alcuni farmaci — come neurolettici, sedativi o anticonvulsivanti — possono ridurre la frequenza e l’intensità dei movimenti. In casi selezionati, si è ricorso alla stimolazione cerebrale profonda (DBS), una tecnica neurochirurgica usata anche nel Parkinson, che ha dato risultati promettenti.
Accanto alla terapia farmacologica, è fondamentale il supporto psicologico e riabilitativo. I pazienti devono essere aiutati a riconoscere e gestire gli episodi, mentre le famiglie necessitano di informazioni e sostegno emotivo per affrontare il peso quotidiano della malattia. Le associazioni di pazienti giocano un ruolo cruciale nel sensibilizzare l’opinione pubblica e favorire la ricerca.
Diffondere la conoscenza di queste patologie rare non è solo un atto di sensibilizzazione, ma un vero e proprio strumento di giustizia sanitaria. Più la malattia è conosciuta, maggiori sono le possibilità che venga diagnosticata precocemente e trattata in modo adeguato. Per chi convive con una condizione così difficile, la speranza passa anche attraverso l’informazione.
Foto di Tracy Lundgren da Pixabay
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